Recensione della personale di Angelo Volpe in mostra alla Galleria Siniscalco con Acid Fairytale.

In un mondo dominato dai simboli, condizionato da eventi troppo spesso intangibili e ben poco prevedibili, la realtà può apparire come una fiaba disturbante. Uno dei migliori pregi di Angelo Volpe è di saper sempre esporre con molta chiarezza i propri argomenti, senza tuttavia scadere nell’ovvio e nel didascalico. E la sua ultima produzione artistica, in mostra presso la Galleria Siniscalco a Napoli, in via Poerio, fino all’8 Novembre col titolo Acid Fairytale, testimonia del grado di maturità e consapevolezza che ha raggiunto la sua narrazione.
Volpe ci ha già parlato delle sue idee e dei suoi propositi artistici, della sua visione del mondo, che gli appare (e il più delle volte, non solo a lui) sempre più ridotto a grande centro commerciale globale di generi di consumo, i quali non sono più soltanto oggetti o strumenti materiali, magari degli status symbol, ma anche idee, personaggi, miti, simboli. Tutto è in vendita e, per questo, è pure smontabile, ricomponibile, recuperabile, banalizzabile, sacrificabile. Perfino il Comunismo! Non ci vuole neanche molto: basta mettere al ritratto di Lenin il trucco, il neo e la bionda chioma di Marylin Monroe, esattamente come li ritrasse Andy Warhol nella sua celeberrima litografia. Warhol: citazione necessaria, auto-evidente, potentissima. Non a caso, MeriLenin è stato scelto come copertina della mostra. “Tutto è Pop, bellezza. Vuoi un’identità? Qualcosa a cui credere? Scegli, prendi e paga ciò che più ti piace. Se poi rimani deluso, non preoccuparti, il Discount della Contemporaneità fa orario continuato.” Il dramma sta nella perdita di umanità che c’è in tutto questo processo – perché, per quanto precisa possa essere un’analisi di mercato, l’individuazione di un circoscritto target di consumatori potenziali, proprio non è una ricerca dell’Uomo e dei suoi valori. Il dramma sta nel fatto che, in profondità, la vita rimane sempre quel che è che è sempre stata. E noi sappiamo che non fa mai offerte del tipo “Soddisfatto o Rimborsato”.
Questo è il messaggio di Angelo Volpe e, in generale, di tutto quel filone artistico chiamato New Pop che in Italia è stato molto forte negli anni 2000, ma oggi forse risente un po’ della grande stagione della Street Art che, volendo, può considerarsi ancora “più Pop”. Volpe può senz’altro considerarsi, con Giuseppe Veneziano, uno degli artisti più rappresentativi e programmaticamente validi di tutto il movimento.

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La scelta delle opere esposte in Acid Fairytale puntualizza questa consapevolezza con molta efficacia. Volpe si è reso conto benissimo del fatto che proprio in questi anni in cui si glorificano le enormi possibilità d’azione e di successo, basta essere “affamati e folli” e avere una connessione ADSL; in realtà la maggior parte delle persone li sta vivendo con disagio crescente, con un sempre più grande bisogno di evasione dalla realtà. L’irreale è il grande business degli anni ’10 e Volpe lo sa bene: domina un’irrealtà che magari abbia forti venature kitsch, su cui si sono buttati tutti, social network, narrativa fantasy, serie televisive, Blockbuster e kolossal sui supereroi dei fumetti Marvel e DC Comics. Perché non le fiabe antiche, visto che quest’anno al cinema abbiamo riscoperto perfino Basile e Lo cunto de li cunti? E allora, ecco che Volpe piazza il suo doveroso “colpo basso”: ci racconta i mostri della modernità utilizzando i personaggi delle fiabe (utilizzandone rigorosamente le rappresentazioni Disneyane, le più popolari e oramai anche le più archetipiche) e altre icone del “rassicurante” mondo dell’intrattenimento per bambini, sfigurati e corrosi dalla sporcizia tossica del mondo. Così Pinocchio, in I love listening to lies ci parla dell’ipocrisia e la candida Biancaneve in Peeping Tom racconta la libidine del voyeurismo, sempre più diffuso e sdoganato nella società moderna. Violentissima e micidiale è la gattina di “Hello Kitty” in Heil Kitler!
La forza tremenda di questi quadri, tutti realizzati con un tradizionale olio su tela (tecnica lenta, artigianale, antica, difficile: anch’essa, quindi, segnale programmatico di una certa forma di “resistenza”) che è però talmente intenso e vivido da sembrare acrilico, talvolta smalto (retaggio della sua collaborazione con Sol Lewitt?), sta proprio nel fatto che ciascuna di queste trasfigurazioni è coerente alle tematiche delle fiabe stesse: banalmente, la storia di Pinocchio, così come scritta da Collodi, ci dice che mentire è sbagliato e può infilarci in una valanga di problemi. Ma qui invece Pinocchio ci dice che la menzogna ipocrita dà piacere e rassicurazione a chi l’ascolta e perfino il suo naso lungo assume “connotazioni positive”. Quella di Biancaneve, a sua volta, è sì una fiaba sull’innocenza, ma la competizione della protagonista con la Regina Grimilde sulla bellezza, intesa proprio come capacità di attrazione fisica (quella che entrambe le protagoniste esercitano sul Cacciatore) e il fatto che sia un “bacio di vero amore” da parte del Principe Azzurro a risvegliarla dall’incantesimo che l’aveva fatta addormentare, ne fa di gran lunga una delle fiabe più “erotiche” della tradizione occidentale.
Il tutto viene raccontato con quell’ironia che forse si può apprezzare solo con molto cinismo, vigorose setole sullo stomaco o dopo un robusto trip di acidi, appunto. Tutto viene potenziato ancora di più dal lancinante biancore della sala così potentemente illuminata. Dominano la sala i quattro ritratti di Bananack Obama, sfida quasi impudente tanto alla politically correctness che all’Imperialismo USA, di Elisabetta d’Inghilterra con la bocca da bambola gonfiabile (Welcome to my Kingdom), così anche i puritani sono sistemati, Meow Mao Tse Tung e MeriLenin, perché anche chi oggi parla di Comunismo, in fondo, non fa altro che vendere un prodotto di consumo, e l’irresistibile Hello Kitler, col teschio capelluto e pettinato del Führer e lo spillino dell’altamente inquinante azienda giapponese di gadget per l’infanzia. Ritratti dal fortissimo e immediato valore iconico in cui è però leggibile ancora tutta la forza dell’impianto formale del ritratto tradizionale con la posa di tre quarti e la ritmicità dei valori tonali della luce.
Malgrado diversi ammiccamenti alla grafica da manifesto pubblicitario (vedi The End) e perfino alla Street Art e ai graffiti (visibile nell’effetto di colatura a muro dei colori in moltissime opere, nel grottesco uomo nudo a lato in Peeping Tom), i riferimenti ai canoni dell’arte classica sono molto saldi, frequenti e davvero fondamentali, proprio perché sono presenti già nella costruzione di molte opere. Tutto questo, a nostro avviso, fa di Angelo Volpe uno dei più “classici” tra i pittori del New Pop, perfino più di Veneziano, in cui il richiamo all’arte classica è più didascalico, meno sentito e meno profondo. A voler trovare un difetto a questa godibilissima e indovinata esposizione, ci convince poco la presenza di Operazione San Gennaro, dove il pur divertente ritratto di uno dei committenti abituali di Volpe, che cita il celebre San Gennaro Benedicente di Solimena al Museo del Tesoro di San Gennaro, sembra impacciato e fuori posto nella sua assenza di cattiveria, insieme a tanti “loschi” compagni.
Acid Fairytale è senza dubbio una mostra importante, da parte di un artista di spessore, oramai giunto alla piena e più rigogliosa maturità artistica: un’autentica rarità in Italia di questi tempi. Va da sé che proprio non si può perdere.

 

A proposito dell'autore

Laureato in storia dell'arte alla Federico II di Napoli, ormai vicino ai 28 anni, gira l'Italia da quand'era bambino. Fu così che si innamorò della storia, della geografia, dei centri storici e dei colori - e che paese colorato è il nostro! In cerca di fortuna come un bucaniere o un artista curtense, collabora di tanto in tanto, con la fortissima, dice, rivista Racna Magazine.