Ciò che rende speciale un grande evento come quello di Artefiera, la fiera bolognese dedicata all’arte contemporanea e moderna giunta alla sua 39esima edizione, sebbene si ripeta ogni anno, sono gli eventi ad esso correlati. I confini della fiera diventano labili, come a volersi confondere con quelli della città, che è interamente travolta da un’ondata di vivacità, ispirazione, cultura. In questo clima di grande vitalità che ha caratterizzato anche l’edizione 2015 appena conclusa, ben si colloca l’artista australiano Lawrence Carroll. Per chi già conosce ed apprezza l’opera di questo “simpatico signore” dai capelli bianchi e lo sguardo brillante, i motivi saranno certo noti: l’estrema positività e propositività delle sue grandi istallazioni, le continue domande e la perenne ricerca che affronta con il suo lavoro.

LOWRENCE-CARROLL
Ed è proprio con l’eterna domanda “Am I alone?”( “Sono solo?”), frase che ricorre spesso nelle sue opere, che Lawrence Carroll inizia la chiacchierata informale con stampa e pubblico al Museo MAMbo di Bologna, museo che ospita appunto, fino al 6 aprile, la sua personale Ghost House.
Ghost House parla di fragilità umana, di quanto tutto sia destinato a finire ma anche a durare per sempre, costituendo la stessa fine un nuovo inizio. Ghost House parla anche di tempo, di tempo da prendersi, perché la vita è un ripetersi di stagioni, un succedersi di fasi dipendenti le une dalle altre.
Penso che la definizione di late lumor (fioritura tardiva, ndr.) descriva perfettamente il mio modo di essere e di lavorare – dice Carroll – Quando arrivai a New York per iniziare il mio percorso nel mondo dell’arte, trovai posto come illustratore per alcuni giornali. I tempi del mio lavoro erano dettati dai tempi dell’editoria, ero un po’ come una macchina che deve produrre su richiesta. Nel tempo libero presentavo i miei lavori alle gallerie e giravo per musei. Preferivo, e preferisco ancora, i musei alle gallerie: tornavo a casa dalle gallerie con un gran mal di testa, i musei invece sono dei bei luoghi dove stare. In tutti quei musei che visitavo prendevo qualcosa: Cézanne, Mirò, Rembrandt, da tutti loro prendevo un pezzetto di esperienza, di ispirazione, e mettevo tutti questi pezzetti nelle mie tasche. Quando tornavo a casa, nel mio studio, mettevo le mani nelle tasche, tiravo fuori tutti quei pezzetti e li lanciavo in aria, guardandoli roteare, poi lasciavo che prendessero il loro posto sulle mie tele. Lavoravo sotto l’influsso di tutte quelle suggestioni, lasciandogli il tempo di prendere forma dentro di me, di incontrarsi con il mio vissuto e con le mie esperienze, di trovare cosa dire e il modo di farlo. Ancora oggi, ai miei studenti, dico di non smettere mai di guardare. Guardare e farsi domande, chiedersi sempre il perché di tutto. I musei hanno una grande importanza, soprattutto per gli artisti, perché danno risposta a molte di queste domane, creano nuovi interrogativi e danno “il permesso” di fare arte. La Venere di Milo, La Mona Lisa, Il Guernica ti dicono “si puoi, fallo, te lo permetto. Abbi coraggio”.

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Le parole illuminati di Lawrence Carroll, la loro delicatezza e sicurezza, rapiscono il pubblico e lo incantano: tutto sembra semplice. Le sue parole sono come le sue opere: tagliano i fili che reggono i veli di fronte agli occhi. Ed è proprio delle sue opere, quelle che compongono la mostra Ghost House che Carroll seguita a parlarci. “Quando ho visitato per la prima volta le sale del MAMbo che avrebbero dovuto ospitare i miei lavori è stato, e questo mi succede sempre quando espongo in un luogo nuovo, come visitare casa di qualcun’altro. Ogni spazio ha le sue caratteristiche: finestre, angoli, rientranze. Puoi trovarti in spazi immensi o più raccolti. Ho bisogno di trascorrere molto tempo in questi spazi, con le mie opere tutte intorno, prima di iniziare ad allestire. La mostra Ghost house, con cui racconto trent’anni di carriera, non segue un ordine cronologico, tento piuttosto di instaurare nuovi dialoghi fra le opere. In alcuni casi si tratta di lavori molto differenti fra loro, che parlano di momenti diversi della mia vita, che ho creato addirittura in ambienti diversi per fare in modo che non si contaminassero. Adesso le espongo uno di fronte all’altra e faccio in modo che creino nuovi racconti, che pongano nuovi interrogativi, che siano, seppure lavori terminati, nuovi punti di partenza. Con Ghost House ho portato il mio studio al MAMbo, e questa più che una mostra è un laboratorio. Niente finisce davvero, tutto è un nuovo inizio: basta solo aspettare i tempi giusti”.
La semplicità e la verità, la fragilità e la forza: è tutto ciò che Lawrence Carroll ci ha dato in 20 minuti di chiacchiere e 30 anni di lavoro. Chapeau.

A proposito dell'autore

Project Manager

Alla formazione scientifica (studi in Medicina Veterinaria, prima in Inghilterra e poi in Italia) unisce l'insana passione per l'arte e la letteratura. Dal 2012 collabora con la casa editrice Marchese editore, occupandosi di pubbliche relazioni, promozione e creazione di eventi culturali. Nel 2013 fonda con alcuni collaboratori il blog "About M.E.", legato all'attività della casa editrice ma fin dall'inizio aperto a tutto ciò che è cultura, con particolare attenzione a ciò che succede sul territorio campano. Ama i cappelli, Dostoevskij, e il té delle cinque.