Intervista a Fabio Barisani, docente di Tecniche e tecnologie della grafica e di Fenomenologia del corpo all’Accademia di Belle Arti di Napoli, e visual designer e fotografo che si avvale delle più recenti tecniche digitali di motion graphics, indagando le relazioni suono/immagine in collaborazione con musicisti e compositori internazionali.

Articolo a cura di Michela Aprea.

In una società “ipericonica” come quella attuale come si articola il lavoro del visual designer?

Ovviamente, non ha alcuna possibilità di sfuggire alla ridondanza imposta da tale condizione, ma si può evitare che esso, nel rispetto della sua funzione, si appiattisca su una sorta di “rumore” visivo, spesso generato da ricorrenze estetiche conformistiche o di moda o da proposizioni ostinatamente “urlate”. Tutto ciò può essere evitato, come da sempre, solo con il serio lavoro di progettualità e ricerca che distingue il professionista che, fuori da un’inutile ricerca di originalità a tutti i costi, riesca a coniugare una grande forza di sintesi, un’indubbia sensibilità e qualità estetica, indipendente e libera, con le necessità proprie della comunicazione che è chiamato a confezionare.

Il suo interesse per la comunicazione artistica multimediale e multimodale lo ha visto costituire diversi progetti in collaborazione con altri artisti e musicisti, ce ne parla? E in particolare ci racconta della sua collaborazione con Luca Spagnoletti?

Le prime collaborazioni in contesti tecnologici di sperimentazione artistica si sono verificate oltre una decina di anni fa, con un progetto che intitolai “Ruminanze” e con la collaborazione del musicista e compositore Maurizio Chiantone. Il progetto prevedeva nel tempo una sequenza di proposizioni diversamente articolate, distinte da un suffisso numerico progressivo abbinato al titolo. Con esso si progettavano diverse modalità collaborative tra artisti visuali, musicisti/compositori e lo stesso pubblico invitato. L’intento era quello di indagare sulle relazioni tra opere “ambientali”, frutto di intelligenza collettiva, e l’interattività con il pubblico; le opportunità offerte dalle tecnologie digitali non erano coinvolte in modo esclusivo, ma solo estensivo rispetto a particolari dinamiche relazionali tipiche della comunicazione artistica. La ricorrente indisponibilità nell’ospitare adeguatamente tali proposte, peraltro già progettate, elaborate e definite nel dettaglio, mi costrinsero a rinunciarvi.
Incontrai Luca Spagnoletti la prima volta nel 1981, la sua attività di ingegnere del suono, oltre a quella di musicista, lo vedeva già impegnato nella sperimentazione elettronica. L’opportunità di una collaborazione si è verificata solo molti anni dopo, nel 2008, in occasione del mio impegno lavorativo presso l’accademia di belle arti di Roma, città in cui egli risiede. Avvicinati da ascolti ed interessi musicali affini, Luca mi propose di sperimentare un’interpretazione visuale di alcune sue composizioni originali, dapprima all’interno di un suo progetto preesistente e denominato Re_Edit, per poi, considerati gli esiti, impegnarci in specifici progetti e composizioni audiovisive. Non abbiamo mai discusso o concordato le reciproche estetiche. Il metodo è stato quello, per lui di comporre nella consapevolezza di esporsi alle variabili imposte sul suono dal condizionamento indotto dalla simultanea percezione visiva, per me di inseguire la possibile fedeltà nel riprodurre un immaginario suggerito dall’ascolto di dette composizioni sonore concluse. Solo al termine e alla definizione di ogni mio intervento Spagnoletti ha conosciuto l’esito di quest’insieme, condividendolo. Ciò ha permesso la generazione di narrazioni audiovisive astratte che, seppure suscettibili dell’estemporaneità e dell’improvvisazione, tipiche nelle esecuzioni dal vivo, restano frutto di precise scelte progettuali, indipendenti ed integrate nello stesso tempo.

Fabio Barisani, “Nuraxi 536” e “Nuraxi 604”; stampe su alluminio dibond cm.70 x 100 - 2009.

Fabio Barisani, “Nuraxi 536” e “Nuraxi 604”; stampe su alluminio dibond cm.70 x 100 – 2009.

È docente universitario all’Accademia di Belle Arti di Napoli con una cattedra in Tecniche e tecnologie della grafica e di Fenomenologia del corpo, due questioni ampiamente abusate nel contemporaneo. Quali difficoltà trova nell’educare o indirizzare i tuoi studenti sull’argomento? Come e quando si è approcciato al mondo della multimedialità e della sperimentazione audiovisiva?

Nell’insegnamento di ambedue le discipline, l’unica difficoltà che rilevo sta nel convincere gli studenti nell’adottare strategie progettuali dai comprovati vantaggi ed efficacia. Ritengo che in qualsiasi disciplina e in qualsiasi progetto d’apprendimento e formazione sia necessario adottare precise metodologie da parte degli stessi studenti, il mio ruolo di facilitatore non è sempre compreso appieno, per loro pesa troppo il condizionamento di tanti anni di scuola e di studio in cui solo eccezionalmente qualcuno abbia potuto raccontare il “come” si studia, oltre, o prima, che si dica “cosa” studiare.
I miei primi approcci con la multimedialità e la sperimentazione audiovisiva sono legati all’attività e all’esperienza svolta dai primi anni ‘80 presso un allora importante Studio d’architettura napoletano. In esso si progettava per grandi committenze e si partecipava ad importanti concorsi nazionali ed internazionali; il mio ruolo era quello di progettare la comunicazione visiva inerente ai progetti in concorso o da eseguire. Al tempo i mezzi e le pratiche non contemplavano ancora l’avvento del digitale e pertanto ciò mi comportava una necessaria commistione di competenze: disegno, progettazione grafica e fotomeccanica, fotografia e modellistica d’architettura; quindi si trattava di seguire ed interpretare tutto l’iter progettuale tecnico per tradurlo in elementi leggibili per i più: dalla costruzione di modelli e plastici tridimensionali in scala, alla loro opportuna ripresa fotografica, alla depliantistica e a tutta la grafica per la comunicazione che rappresentava il progetto. In tale processo lavorativo credo di aver incontrato tutti i prodromi di ciò che successivamente si è comunemente inteso per multimediale. Il mio primo approccio audiovisivo riguardò la sonorizzazione di un oggetto, m’incaricarono di sonorizzare il plastico per un concorso di progettazione per la realizzazione del CIS di Cagliari: all’interno del plastico installai un lettore di cassette stereo 7 collegato a dei diffusori e ad un interruttore esterno, preparai la cassetta con un nastro magnetico ad anello chiuso per diffondere una ricorrenza sonora (in loop); la preparazione dell’anello chiuso comportò la registrazione dal vivo di vari sciabordii del mare (il progetto architettonico insisteva sul mare) e la selezione e montaggio, sempre su nastro magnetico, di brani tratti da registrazioni etnomusicali su vinile. Si trattava di brani di una tribù del deserto del Marocco che esprimevano particolari figurazioni ritmiche, utili al raggiungimento, nella commistione con i suoni del mare e senza soluzione di continuità, delle suggestioni volute, come a generare una specie di mantra del progetto.

Che ruolo ha avuto e ha la città di Napoli nella tua educazione e sensibilità artistica?

Controverso: il ruolo di fisiologica ed irrinunciabile matrice e il ruolo di indesiderata e ostile matrigna.

Nella presentazione del progetto “Ruminanze” al Master in Digital Writing che nel 2005 hai tenuto all’Università degli Studi di Firenze, ha affermato “I diversi medium espressivi concorrono alla creazione di uno specifico “luogo” dello spazio e del tempo in cui sperimentare relazioni interattive. Tecnica e tecnologie analogico-digitali vorrebbero convivere per un inequivocabile primato dell’ideazione. Scritture collettive multimediali e multimodali si costituirebbero come momenti di “interpenetrazione”, non solo tra i media, ma anche tra le produzioni creative dei singoli. L’ibridazione e la coesistenza di casualità e progetto producono esiti imprevedibili“. Per lei, il caos e l’incontrollabile costituiscono una conditio sine qua non della creazione artistica?

Non costituiscono una conditio sine qua non, ma quando l’imprevedibile, l’elemento casuale si presenta, mi appare più come un’ulteriore risorsa per l’immaginazione che un ostacolo, una risorsa anche foriera di diverse ed altrettanto interessanti prospettive.

Com’è cambiato il suo lavoro alla luce delle evoluzioni tecniche?

Sul piano ideativo, dell’approccio e dell’impostazione metodologica molto poco, sul piano dell’accesso alle realizzazioni moltissimo: se solo penso alla differenza dell’occorrente necessario per realizzazioni professionali o anche artistiche, fino a non moltissimi anni fa, avevo bisogno di ambienti di media quadratura, pieni di strumenti specialistici per i vari tipi di lavorazione, oggi il tutto può limitarsi allo spazio di un personal computer o poco più.
Se penso all’insegnamento, ad oggi lo straordinario vantaggio dei sussidi audiovisivi è da ritenersi irrinunciabile, per mole, completezza e velocità nella trasmissione dei vari saperi. Tengo però a sottolineare che mi sto riferendo a dei sussidi, essi, da soli, non potranno mai surrogare le varie necessità di una vera e completa formazione culturale, qualsiasi sia l’ambito.

 

bio Fabio Barisani

 

Fabio Barisani nasce a Napoli nel 1957. Consegue la maturità d’arte Applicata in Arti della Stampa presso Istituto Statale d’Arte F. Palizzi di Napoli, poi il diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e il Master Universitario in “Digital writing Scrivere con i nuovi media”, presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Firenze.

Ha svolto, dal 1979, attività professionale di visual designer e fotografo, collaborando come freelance con vari studi d’architettura e di grafica per la comunicazione, partecipando a vari progetti in concorsi nazionali, internazionali e con numerose pubblicazioni all’attivo.

Dal 1990 svolge attività d’insegnamento quale docente di Anatomia Artistica, dapprima all’Accademia di Belle Arti di Sassari, poi, in anni più recenti, nelle Accademie di Belle Arti di Roma, Firenze e Napoli; in quest’ultima, dal 2010 ad oggi, è docente in prima fascia di Tecniche e Tecnologie della Grafica e di Fenomenologia del Corpo.

Dal 1992 al 2008 è stato docente di Arti della Tipografia e della Grafica Pubblicitaria presso le sezioni di Grafica Pubblicitaria e Fotografia degli Istituti Statali d’Arte.

La sua ricerca artistica più recente si avvale delle tecniche digitali di motion graphics, indagando le relazioni suono/immagine in collaborazione con musicisti e compositori.

Con tale produzione ha partecipato a vari progetti ed eventi in Italia e all’estero.

Nomicosecittà

Fabio Barisani sarà il protagonista della passeggiata di Nomicosecittà di sabato 27 giugno.

Una passeggiata che ripercorre la storia del Borgo Loreto, incastrato tra il porto, l’area industriale orientale e la ferrovia di Napoli sarà quella condotta dal visual artist Fabio Barisani.

Docente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli (sue le cattedre in Tecniche e Tecnologie della Grafica e di Fenomenologia del Corpo), Barisani accompagnerà i passeggiatori di Nomicosecittà in un viaggio dalle atmosfere pasoliniane, intrecciando racconti di vita personali, tra guerre di bande, degrado urbano e sociale e riscatto, narrando una Napoli controversa, sul liminare delle profonde trasformazioni urbanistiche e sociali che hanno attraversato il capoluogo campano.

Il percorso comincerà, alle ore 10.00, dal terminal dei bus antistante l’ingresso del parcheggio Brin. Nomicosecittà, il ciclo di passeggiate guidato da artisti promosso dall’Agenzia Informale di Sviluppo Locale Aste e Nodi con la direzione artistica di Mary Cinque, riprenderà sabato 4 luglio con la passeggiata guidata dallo scrittore Tonino Porzio.

La partecipazione agli incontri è gratuita previa prenotazione sul sito: www.nomicosecitta.org

 

 

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