Ermelinda Ponticiello, armonia e continuità nella Terra dei Fuochi

La terra dei fuochi, la collettiva – esposta al Real Sito Belvedere di San Leucio – ha un numero impressionante di partecipanti, circa duecento, provenienti non solo dalla Campania ma anche dal resto dell’Italia e alcuni addirittura dall’estero. È inoltre patrocinata da numerosi comuni: a parte Napoli e Caserta, scopro con sorpresa nella brochure che anche Sant’Antimo, il comune in cui sopravvivo, ha offerto il suo patrocinio.

Il cortometraggio di Mimmo Orlando (sceneggiato da Max Oliva) parla di una terra del silenzio, una terra colma di croci e di fantasmi. Mi rattristo, ma mentre vago desolato, riconosco una mia compaesana, Ermelinda Ponticiello, una delle artiste partecipanti: ci abbracciamo, poi ci avviciniamo alla sua opera.

Mi descriveresti la tua opera?

La mia opera, TERRADEIFUOCHI, è una stratificazione di forme e colori: in alto una terra verde, dove ardono dei fuochi su laghi primordiali. Al di sotto, c’è una stratificazione di zolle colorate, nelle quali sono presenti piccoli oggetti da me prodotti. Si tratta di ceramiche con smalti dagli effetti molto particolari, ciottoli decorati o di terracotta; inoltre ci sono piastrine di rame che bruciate dal fuoco hanno prodotto forme e sfumature diverse. In basso invece ho usato la sabbia con sopra delle conchiglie; in questa parte compare anche un piccolo lembo di mare che per me simboleggia la speranza: spero che tutto ciò possa un giorno tornare a essere liquido e naturale. Oltre alla sabbia ho usato felci, terre (in particolare diverse argille rosse) mischiate coi colori a olio. La mescolanza di terre e colori dà anche una sensazione piacevole, non ti pare? Gli oggetti sembrano disposti a caso, ma si integrano perfettamente con i colori circostanti. Armonia e continuità sono state le mie guide nella creazione di quest’opera.

Questo spaccato occupa gran parte del dipinto ed è indubbio il riferimento a Napoli con tutte le sue stratificazioni, vero?

Sì, è la metafora della Napoli greca, romana, medioevale, fino ad arrivare ai nostri giorni. Al di sotto della superficie che brucia, troviamo qualcosa di prezioso. In Giappone esiste una tecnica denominata kintsugi. Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con l’oro. Le ferite sono parte della storia e la bellezza di un oggetto può non essere del tutto perduta, deve essere valorizzata al meglio! Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente. E la differenza è tutta qui: occultare l’integrità perduta o esaltare la storia con la ricomposizione Napoli ha molto a che vedere con questo e le sue stratificazioni non hanno solo una valenza spaziale, ma assumono anche una dimensione temporale.

La genesi di questa opera?

Quest’opera è nata in maniera istintiva. Deriva da un’immagine che mi è apparsa improvvisamente nella mente e sin dall’inizio ho sentito il bisogno di completarla con l’utilizzo di materiali diversi. Sono materica, lo sono stata sin dai miei primi lavori. Adoro usare diverse tecniche e solo così riesco a esprimermi totalmente.

Nella parte alta del quadro ci sono diversi focolai, mancano però esseri umani. Sono scappati?

Non ci sono animali o persone, solo vegetazione. In qualche modo la speranza è affidata non all’uomo ma alla pazienza e alla perizia della natura, alla sua forza rigenerativa.

Cosa ne pensi dei questa collettiva?

Trovo che sia stupenda e mi sento di ringraziare in modo particolare la curatrice, Lyna Lombardi, il direttore artistico Maurizio Monaco e il critico d’arte Carlo Roberto Sciascia, perché sono stati capaci – nonostante tutti i problemi – di organizzare in una location così prestigiosa un evento che prima di tutto è attualissimo e fortemente sentito, non sono dagli artisti ma anche dall’intera collettività. Sono riusciti a coinvolgere un numero davvero enormi di artisti e quindi a creare incontri, confronti. La terra dei fuochi brulica di arte e di artisti, qui non c’è solo inquinamento e desolazione.

Incontri e confronti, cosa vorresti aggiungere in merito?

Nella mostra ho visto tante opere di artisti che già conosco o frequento nei diversi eventi che si svolgono sul territorio: Teresa Mangiacapra, Manuela Vaccaro, Luigi Montefoschi, Fabiana Marasca, Elena Tabarro, Concetta De Dominicis, Alfonso Caccavale, Anna Scopetta, Carla Guarino, Antonio Conte, Flora Palumbo, Giuseppe Tuzzi, Immacolata Maddaloni, Silvia Rea, Paolo Napolitano e tanti altri… Inoltre ho conosciuto anche altri artisti fra cui Gennaro di Giovannantonio, col quale mi sono intrattenuta davanti alla sua istallazione, in una interessante discussione di Geo-Art, che diversamente dalla Land-Art americana, è un movimento italiano che tiene conto in maniera notevole anche dell’aspetto culturale di un territorio.

Quanti nomi…un’opera in particolare che ti ha colpita?

Sì, quella dell’artista Paolo Monaco mi ha emozionato sin dal primo momento che l’ho vista. Nella sua opera mi sembra di aver visto la personificazione della terra umiliata dagli umani. Essa sembra ribellarsi con un urlo carico di tossicità espresso con applicazioni sul quadro: siringhe, chiodi e ferri vari. Questa terra urla il suo malessere. I colori sono freddi e forse mi piace perché non si percepisce nessuna speranza.

Progetti per il futuro?

Un progetto relativo alla costituzione di un’associazione artistica con un programma di crescita culturale e creativa, un progetto a cui penso da anni, ne parlerò quando sarà realizzato.