Intervista a Stefano W. Pasquini, artista bolognese che ha recentemente partecipato, nel corso di Art week di Torino, al The Others Fair Ex Carcere Le Nuove, evento fieristico off legato ad Artissima Fair. Open Studio, questo il titolo della sua ultima fatica presentata a Torino, è un intervento performativo che rende opera il percorso intrapreso per raggiungere la creazione dell’opera stessa. No, non si tratta di uno scioglilingua, ma forse è meglio far parlare Stefano W. Pasquini, in questa breve intervista per Racna.

Processo creativo e opera d’arte. Nel tuo progetto Open Studio presentato quest’anno a The Others Fair di Torino un concetto sembra sfociare nell’altro. Ci vuoi spiegare come è nata questa idea?

“Open Studio” nasce da una battuta umoristica di Maria Letizia Paiato, fondatrice di “Yoruba – diffusione arte contemporanea” e curatrice del progetto, che durante una visita al mio studio di Bologna, constatò che fosse proprio delle stesse dimensioni delle celle dell’ “Ex carcere Le Nuove” di Torino. È nata così l’idea, un po’ malsana, di trasferire il mio intero studio a Torino e trasformare un’esperienza fieristica in un’azione di tipo performativo. L’implicazione era quella di comportarmi come se fossi in studio e quindi progettare opere nuove, dipingere e creare nuove sculture. Devo ammettere che mi sono divertito moltissimo, anche se tutte quelle ore in cella mi hanno fatto pensare molto a come ci si deve sentire in carcere, quando i giorni diventano anni.

Democraticità dell’arte come confronto “da pari a pari” fra artista e fruitore. Quanto questo concetto è necessario nell’epoca in cui ci troviamo?

Non credo che sia strettamente necessario, ma credo che sia un modo per affrontare il dilemma che l’arte contemporanea sta vivendo in questo momento. La mancanza di interesse per il contemporaneo, in contrapposizione con il maggior interesse per l’arte moderna e classica è sintomatico del fatto che l’arte contemporanea è diventata troppo autoreferenziale, incapace di parlare a tutti, rivolta a una ristretta cerchia di fruitori privilegiati. Fortunatamente nel contempo stiamo vivendo una seconda rivoluzione tecnologica (dopo quella degli anni ’90) che permette a tutti di agire creativamente e ricevere feedback e gratificazione istantanea. Un modo nuovo di comunicare tramite immagini si sta sviluppando tramite i social network. Sto appunto lavorando a una piccola pubblicazione attraverso cui analizzerò proprio questo fenomeno e che sarà pubblicato da “Diogene Multimedia”, una casa editrice che si occupa di filosofia. In un certo senso vorrei teorizzare quanto la vita di tutti possa migliorare tramite una risposta creativa, dal personale all’universale.

Stefano W. Pasquini

Dall’ICA di Londra ad Art in General di New York, dal Mambo di Bologna al Macro di Roma. Alla luce della tua esperienza internazionale e nazionale, come credi che sia percepito il panorama artistico contemporaneo italiano all’estero?

Purtroppo per quanto riguarda il settore arte contemporanea l’Italia viene vista all’estero, seppure con la sua storia di importanza fondamentale, un po’ come una provincia. È innegabile che i governi politici degli ultimi decenni in Italia non abbiano saputo gestire i tesori artistici e la mancanza di impatto nel contemporaneo ne è la riprova. Indubbiamente una delle doti degli italiani – e mi inserisco, senza modestia, anch’io quando ho avuto difficoltà nell’organizzazione di eventi all’estero – è la prontezza e la versatilità.

4) Tra un anno, tra cinque, tra dieci. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho in programma un paio di mostre personali nel 2016, di cui per scaramanzia preferisco non parlare. Mi piacerebbe avere progetti di portata internazionale, ma questo non è sempre facile, considerando la crisi che ha colpito un po’ tutti in questi anni. Tra cinque anni spero di essere ancora più impegnato in mostre, e magari fra dieci potermi permettere di rispondere, a chi mi chiede quale sia il mio lavoro, di rispondere: “l’artista”. È un lusso che in Italia soprattutto è concesso ancora a pochi.

 

Stefano W. Pasquini

bio di Stefano W. Pasquini

Stefano W. Pasquini (Bologna, 1969) artista, curatore e scrittore, ha esposto in sedi prestigiose quali, tra le altre, l’ICA di Londra, la National Portrait Gallery (Londra), Art in General (New York), Mambo (Bologna), Newhouse Center for Contemporary Art di Staten Island (New York) e al MACRO di Roma. Oltre ad aver pubblicato oltre 500 articoli di arte contemporanea per riviste quali “New York Arts”, “Collezioni Edge”, “Sport & Street”, “Luxos” ed altri, è autore di Accidental//Coincidental, Newhouse, New York, 2008, co- autore (con Maria Teresa Roberto) di Incorporeo Albertina Press, Torino, 2015, editore del magazine “Obsolete Shit” e direttore del podcast Why the Fuck not Ppodcast. Dal 2013 è curatore della galleria Studio Cloud 4 e conduce con Fedra Boscaro Coxo Spaziale, un programma di arte e cultura su Radio Città Fujiko. Insegna Tecniche Grafiche Speciali all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Le sue opere sono disponibili da Enrico Astuni, Bologna, L’Arte, Molinella (BO) e MelePere, Verona.

A proposito dell'autore

Project Manager

Alla formazione scientifica (studi in Medicina Veterinaria, prima in Inghilterra e poi in Italia) unisce l'insana passione per l'arte e la letteratura. Dal 2012 collabora con la casa editrice Marchese editore, occupandosi di pubbliche relazioni, promozione e creazione di eventi culturali. Nel 2013 fonda con alcuni collaboratori il blog "About M.E.", legato all'attività della casa editrice ma fin dall'inizio aperto a tutto ciò che è cultura, con particolare attenzione a ciò che succede sul territorio campano. Ama i cappelli, Dostoevskij, e il té delle cinque.