Uno spazio stracolmo di significato, un luogo pieno di strutture che nel tempo migrano da un luogo all’altro, da una funzione all’altra, da una modalità artistica ad un’altra. Una sala degli eccessi, uno spazio dove esiste il luogo vuoto del dubbio e dell’indecisione, protetto dalla perdita di significato, ma anche il luogo dove accade l’ispirazione improvvisa, la suggestione, l’intuizione, l’azione artistica senza radici apparenti, ma soprattutto uno spazio dove è possibile una narrativa del proprio pensiero artistico attraverso le sue varie rappresentazioni e rimaneggiamenti.

Questa è la descrizione del proprio metodo, non del luogo fisico dove lavora Kentridge, sudafricano, sopravvissuto alla propria fama nel mondo, allo scandalo delle sue opere contro il colonialismo e lo schiavismo, capaci di trovare sempre un rapporto nuovo con il passato e con la cultura, un legame astratto con il pensiero di ogni epoca, che sorge dalle radici del luogo dove lavora e che intende omaggiare con una sua opera, spostandosi “verticalmente” e “contro il tempo” verso un futuro ancora tutto da tracciare.

Ecco che a Napoli, città a quattro dimensioni per tradizione sociologica e architettonica, le opere di William arrivarono grazie a Lia Rumma e ritornano ciclicamente, invadendo i musei più importanti, come le nuove metropolitane o Capodimonte, ma soprattutto la sua Galleria, nella città luciana, a due passi dalla voragine di altre due gallerie Morelli e della Vittoria, luoghi pregni del potere della dea Madre, percorsi da uomini, automobili, modernità, sempre più invadenti.

 

Lo spazio della Galleria Lia Rumma ti contiene con grandi labbra nere che dividono gli spazi isolandoli acusticamente, per garantire a tutti di perdersi nella confusione del vernissage, in questa sera finalmente calda di maggio. Ci arrivo come al solito trafelato, dopo una giornata importantissima spesa tra scelte psico-sociali legate alla vita delle famiglie e delle persone sofferenti psichiche ed un convegno dimesso ma incredibilmente ricco sulla bioetica, che ha riunito a Napoli professori di ogni orientamento e genere.

Tutto questo mi pervade mentre ammiro ancora la cinetica delle opere di Kentridge cui sono fondamentalmente abituato, ma che continuano a stupirmi, come mi stupisce l’incontro con ogni persona, la cui sanità mentale per mia deviazione professionale è sempre messa in dubbio, perché le immagini naturalistiche, gli arazzi storicistici, le figure astratte o geometriche, gli oggetti mentali che proietta su carta, su schermo o nel metallo, sono quelli che io provo o che io trovo o che noi diventiamo durante ogni colloquio, professionale o meno che sia.

Dentro di noi esiste infatti questa quarta dimensione – non solo nella nostra meravigliosa città, o nello studio di Lia, assediato dallo smog e dalla crisi del post-moderno –  e nessuno potrà cancellarla, solo farla emergere con forza, con quella forza che William ci offre diventando lui stesso personaggio vivente perennemente in costume.

La sua camicia bianca, il pantalone nero, ci narrano ancora le sue radici, ma i colori vivaci della geometria e il pervadersi di forme le une nelle altre ci offrono la sua speranza di un mondo complesso e pacificato che emerga dalla propria storia, quella su cui si fa arazzo, e non offesa, sulle pagine antiche di chissà quale vocabolario o testo didattico altrimenti dimenticato.

Due donne lanciano segnali d’atterraggio ad aerei immaginati come spettatori, sensuali e crociate come lo stemma della Democrazia Cristiana. E’ solo una mia fantasia, ma vedo in loro, forse troppo velocemente, il dramma dell’ipocrisia del nostro Paese che ci nega la libertà obbligandoci alla sessualità secondo regole prestabilite, generalmente umilianti ed univoche. Altrove lo stesso autore entra in rapporto con una sua creazione, una dea madre accogliente disegnata come un cervello convoluto, ricca di adipe e di desiderio, a sua volta accolta tra le braccia dell’autore rigorosamente sempre in divisa, che ci ricorda che quella è parte della sua ispirazione creativa, non una fantasia ludica o esibizionista.

Mi allontano infelice, come il volto stanco di William che non ho osato invadere con le mie domande e con la mia logorrea, sperando ancora un giorno di incontrarlo, quando ognuno di noi dimostrerà di essere degno della nobiltà dei suoi cavalieri, e rigetterà nell’oblio della storia la rossa linea di sangue che unisce San Gennaro alla topografia di Forcella, da cui emergono avversari e draghi sanguinari e selvatici, resi onnipotenti dai mass media che preferiscono le carogne agli artisti, i violenti ai napoletani.

 

info mostra
Galleria Lia Rumma

Via Vannella Gaetani, 12 – 80121 Napoli – Tel +39 081 19812354
Via Stilicone, 19 – 20154 Milano – Tel. +39 02 29000101
Orari galleria: martedì-sabato 11-13.30 / 14.30-19
www.liarumma.itinfo@liarumma.it

 

Foto di Angelo Marra

Copywrite RACNA Magazine

A proposito dell'autore

Collaboratore
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Manlio Converti, psichiatra, blogger, magato dalla cultura e dall'arte come continua innovazione e sperimentazione, come è la vita, nato nel 69, completa i suoi studi professionali col massimo dei voti nel minimo tempo necessario, laureandosi a 23 anni in medicina. Lavora stabilmente presso la Asl Napoli 2 nord, ma soprattutto perora cause civili e sociali, ancorchè in Italia siano finora perse, come i diritti gay, per egoismo, quelli delle donne e dei migranti, per altruismo, quelli dei sofferenti psichici, per dovere professionale, quelli dell'ambiente, per dovere naturale, quelli degli artisti napoletani e della relativa città conurbata, per patriottismo europeo.