Come apparivano le mostre in Italia a cavallo tra il decennio dei ’60 e ’70? Come si presentava la sperimentazione di nuovi materiali e procedure artistiche alla prova espositiva? Come funzionava il dialogo tra artisti e curatori? E come reagivano pubblico e stampa alle mostre d’avanguardia? Il saggio La smaterializzazione dell’arte in Italia 1967-1973 (Postmedia Books, Milano 2014) curato da Alessandra Troncone affronta questi ed altri temi.

Il libro della studiosa napoletana ripercorre un periodo di cambiamenti, sperimentazioni, dibattiti scegliendo come punto di osservazione alcune mostre collettive tenutesi in Italia negli anni della “dematerializzazione dell’oggetto artistico” secondo il critico americano Lucy Lippard. Riportato al contesto italiano, questo felice frangente in cui sono di scena arte povera, processuale e concettuale diviene uno spaccato ideale per raccontare come il modo di fare le mostre cercava di tenere il passo con le novità introdotte in ambito artistico, con la nascita di nuovi format e spazi espositivi pensati per assecondare le esigenze di un’arte che sempre più si avvicina alla vita, al punto da “smaterializzare” l’opera e trasformarla in ambiente, azione, processo.

Da Lo spazio dell’immagine (Foligno, 1967) alla mostra kolossal Contemporanea (Roma, 1973), passando per esperimenti quali Teatro delle mostre (Roma, 1968) e il Deposito d’Arte Presente (Torino, 1968-1969), emergeva in quegli anni, tutta la complessità di un momento denso di trasformazioni, che hanno investito la pratica artistica ma anche quella critica e curatoriale e di cui le esposizioni si sono fatte testo visibile e narrazione ideale.

 

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