Per il breve saluto d’investitura e il primo speech d’insediamento a Downing Street pochi giorni fa, il 13 di luglio, Theresa May ha indossato stivali in pelle sporchi di fango, con inserti di euro attaccati alle suole, ai tacchi, e in disordine, su tutta la scarpa. A contrasto nemmeno troppo evidente con il tailleur blu notte, la composta missione dell’acconciatura, della collana e della postura. Con la quinta scenografica dei mattoni a vista, e delle ringhiere al piano interrato, tutto continua ad appartenere a decenni ininterrotti di gloria inglese e d’intimità britannica.

Quelle scarpe, o meglio gli stivali indossati il 13 luglio sono stati immediatamente trasferiti alla National Portrait Gallery come ritratto ufficiale della May, opera di Sarah Burton, erede e direttore creativo di McQueen. Il Museo ha già reso nota la decisione di collocarle stabilmente in esposizione.
La passione per le scarpe dell’attuale Primo Ministro britannico Theresa May, capo del partito conservatore dal luglio 2016, era cosa nota già prima dell’insediamento, al punto da farle dichiarare qualche anno fa: “Lo sanno tutti che amo le scarpe, i giornali sembra mi classifichino in base a quelle che indosso”. Se avete avuto modo di sfogliare le apparizioni di cui danno notizia i giornali il diorama delle sue calzature vi mostra in modo inequivocabile perché l’Inghilterra ha fatto a meno dell’Europa e, soprattutto, per quale motivo avrà pieno successo anche da sola nel mondo. Décolleté rosso smaltato dal tacco imperioso o modesto, leopardi maculati intorno al piede di questa signora, rigorosa, serissima e un po’ “noiosa” come confessa persino il suo stesso entourage. Severa, infaticabile, ama il cricket almeno da quando ama suo marito, non ha figli, incarna la compostezza inglese e la nostalgia di altri decenni ininterrotti di gloria e intimità delle isole britanniche.

Illustrazione di Roberta Garzillo

Illustrazione di Roberta Garzillo

Nessuno sul continente saprebbe associare a quelle scarpe divine, che hanno già annoverato stivali in gomma, stivali in pelle al ginocchio, l’assenza quasi completa di eccentricità. Quelle scarpe non sono eccentriche indossate da lei, non lo sono perché parlano agli inglesi e non all’esterno, non hanno che una tonalità sfottente e giocosa per chi conosce il gioco, non sono eccentriche, o almeno non solo eccentriche perché hanno alle spalle i mattoni a vista e la ringhiera al piano interrato di Downing Street. Scarpe del genere, abbinate a capi di assoluto, modesto rigore, spiegano anche la sopravvivenza della monarchia che reggerà ancora a lungo le isole e la loro nostalgia. Scarpe del genere si possono indossare in occasioni ufficiali come una visita alla regina solo se le si indossa quasi male, con impaccio, senza arroganza. La loro eleganza, come il loro rigore, risiedono nella riservatezza con cui vengono esibite.
La disinvoltura, quanto l’architettura di questi ultimi stivali elevati a National Portrait, sopportano benissimo anche il maquillage del fango, la leggera lordura che sembra arrivare direttamente da Glastonbury. Come direttamente da Glastonbury arrivava Kate Moss decenni fa, coperte di fanghiglia le suole e gli stivali.
L’inserto finale, ed epocale, degli euro appiccicati al fango, portati sotto la suola, incollati e sporchi è anch’esso un gioco intimo e modesto più che un gesto di arroganza e di sfida. La riservatezza, la spensieratezza con cui ci fotteranno è cucita nella pelle di quegli stivali.

 

Disclaimer: quest’articolo fa parte della rubrica “Recensioni immaginarie” a cura di Emanuele Canzaniello, dove si narra di opere mai viste, top secret o immaginarie, il lettore si assume tutte le responsabilità di diffondere e/o condividere l’articolo.

A proposito dell'autore

Studioso di letterature comparate è autore di prose critiche su oggetti immaginari, dalle opere d’arte pubblicate in esclusiva per Racna alle recensioni di film mai esistiti apparse su «Le Parole e le Cose» e «Nazione Indiana». Del 2017 il suo primo libro di poesia Per l'odio che vi porto edito da Oédipus. Ha tradotto alcuni lavori di Harald Weinrich.