Si è inaugurata venerdì 12 dicembre la mostra Nel Segno di Hans Hartung, presso la Galleria Andrea Ingenito Contemporary Art in collaborazione con l’Istitut Français di Napoli, a cura di Andrea Ingenito. Sono state esposte circa 15 opere di Hans Hartung realizzate tra 1957 e il 1989, che ripercorrono il percorso creativo dell’artista. I lavori sono realizzati tutti in acrilico, un elegante segno che lega le ricerche artistiche degli anni sessanta con le esplosioni materiche della fine degli anni ottanta, quando nella casa-studio di Antibes – oggi sede della Fondazione Hans Hartung – il Maestro aveva ritrovato una nuova verve espositiva e creativa. Molte delle tele che sono state esposte in questa occasione hanno fatto parte di importanti mostre pubbliche, come la serie di litografie della fine degli anni cinquanta e una serie di acqueforti e acquatinta del 1970. Come dice Andrea Ingenito: “Con questa mostra si è voluto dedicare un omaggio a un grande artista, per la prima volta ospitato in una galleria napoletana”. L’arte Hans Hartung rispecchia l’incanto della quiete e della solitudine dove attraverso la Preghiera trova quella quotidianità che fa sperare la vita dell’uomo. Si può pensare che Hartung nelle sue opere tenda ad andare oltre gli schemi e di narrare immagini e forme che compongono un equilibrio proporzionale ed armonico.

La complessità dell’arte di Hans Hartung nei confronti della pittura sgorga già densa ai suoi primissimi passi intrapresi su quei fogli che vergava, a matita nera, poi a sanguigna o ad inchiostro, quando ancora non sapeva che sarebbe stato soltanto un pittore. Il segno, che fra 1947 e il 1948, s’ammatassa in gorghi più carichi d’emozione che dai primi del Cinquanta si fa più carico e spesso, massivo e coprente, mentre la ‘figura’ nasce sovente dall’incrocio di ascisse e ordinate, al di là delle quali, dal fondo, sgorga una luce nascosta, o scoppia un colore più acceso. A metà del decennio, infine, si apre la stagione forse più universalmente nota di Hartung non certo, peraltro, la sua più alta, in cui il segno, dilatato e gigante, attraversa veloce la superficie, come lasciandovi la memoria della sua ombra scura.
Stagione che culmina con il gran premio alla Biennale di Venezia del 1960, che sancisce definitivamente la sua statura di protagonista di primissimo piano nel panorama internazionale non senza che sia questa l’epoca, anche in cui si ingenerano i maggiori equivoci critici sulla sua opera, confusa ora sovente con la pittura d’azione della scuola di New York. È il momento, infine, in cui il formato delle tele accede a una dimensione finora inusitata: senza che ciò significhi, per adesso, una rinuncia di Hartung alla lenta e meticolosa preparazione dell’opera attraverso lo studio o il piccolo bozzetto, secondo un modo sperimentato già negli anni Trenta, e che da solo basterebbe a distanziarne in maniera ultimativa. Proprio nel 1960 però nell’attimo stesso in cui può dire d’aver vinto finalmente la sua lunga battaglia con la storia, Hartung ha il coraggio d’imprimere una svolta del tutto inattesa alla sua pittura: si apre da allora per lui una nuova stagione, Nuovi strumenti ne sono alla base: utensili disparati e anticanonici, sottratti sovente ai loro più banali usi quotidiani del giardinaggio, o della pulizia domestica, sono da lui adottati per ‘grattare’ la superficie della tela, scavare la materia cromatica, riportando sovente alla vista un timbro nascosto nella coltre più profonda del colore. L’acrilico è assunto in luogo dell’olio. E presto s’aggiunge l’aerografo, che gli consente un lavoro più accelerato di preparazione dell’imprimitura della tela, della stesura del manto leggero del colore sul quale si depositeranno le ferite dello scavo, e le ulteriori velature. La subordinazione cui talora, nella nuova pittura, è ridotta l’evidenza del segno, ora quasi desunto dal grattage di cui Hartung farà risalire la prima suggestione alla pratica antica dell’incisione e all’esperienza, per lui più recente, della ceramica, sorprende talora il suo pubblico, che ha maggior confidenza con il percorso violentemente segnico dei pieni anni Cinquanta, e una parte della critica. In realtà nella ‘nuova’ pittura, che occuperà in maniera esclusiva il cuore del settimo decennio, Hartung non fa altro che recuperare, e mettere in valore, uno dei talenti più specificamente suoi, vale a dire il lento, misterioso affiorare della luce alla superficie, proveniente da una sconosciuta profondità talento che era stato come messo in sordina nelle sciabolanti aggregazioni di segni del tempo immediatamente precedente, quando il fondo si dava prevalentemente compatto e quasi amorfo. Se una novità più rilevante si dà in questi anni, essa concerne il diverso modo d’approccio alla tela : ora non più mediato da una lunga e prudente preparazione grafica. Non v’è dubbio che solo in minima parte il ‘rischio’ maggiore che Hartung prende ora, affrontando la tela direttamente, possa dipendere dalle condizioni mutate del lavoro e dell’esistenza, che gli consentono adesso di correre l’alea dell’errore fatto questo ch’egli invece a più riprese sottolinea come cruciale nella sua nuova scelta e che invece sia la falena divenuta ora concettualmente ingombrante dell’espressionismo astratto americano ad agire su di lui e sulle nuove intenzioni di forma. Ma, a parte questa incongrua cessione di senso che tocca un breve crinale del suo lavoro, Hartung ritrova sovente, nella sua età più tarda, momenti di intensa felicità creativa: nelle grandi dimensioni, che ora frequenta con nuovo abbandono, e nelle quali dà figura a spazi di vibrante emozionalità. Ed è soprattutto nella libertà che Hartung si concede ora nel porre l’accento, nei diversi cicli del lavoro, sul segno o sull’espansione cromatica, sulla materia o sulla trasparenza del colore, sulla concentrazione o sulla dispersione delle sue impronte sulla tela, a leggersi la prosecuzione, non banale fino ai giorni ultimi, di una forte esperienza creativa.
Come dice nel suo testo Serena Ribaudo: “Han Hartung attraversa il Novecento da assoluto protagonista costituendone una delle pagine più alte e tracciando una parabola ascendente che lo rende un’icona delle correnti del secolo. Egli riesce ad abbracciare il vasto universo del sapere, innestando l’esperienza personale alla scelta artistica e coniando uno stile che ha l’unico codice della genialità”.

info mostra

Galleria Andrea Ingenito Contemporary Art
Via Cappella Vecchia 8/A, Napoli
Hans Hartung – Nel Segno di Hartung
Dal 12 dicembre 2014 al 31 gennaio 2015
Per informazioni
081 0490829- 081 0490829
www.ai-ca.com – info@ai-ca.com

Orario di apertura
Dal martedì al sabato: dalle ore 11 alle ore 19
Lunedì su appuntamento

A proposito dell'autore

Una vita dedicata alla scrittura, alla filosofia, alla saggistica e alla critica d’arte, segnata da esperienze e incontri irripetibili Aldo Masullo, Ugo Piscopo, Maria Antonietta Picone, Raffaele Causa, Aurora Spinosa , Nicola Spinosa, Roberto Murolo, Flavio Caroli, Antonio Caprarica, Mimmo Liguoro, Ermanno Corsi, Mario Franco, Augusto Minzolini,Walter Ferrara, Mimmo Jodice, Gerardo Marotta. Ha curato numerose mostre in Italia e intervistato personaggi noti del mondo dell'arte. Ha pubblicato il libro “Il Sangue dei Martiri “ La Vera Storia della Rivoluzione Napoletana del 1799 Edito da Editoriale Programma vincitore del Premio Speciale per la Critica – XV Edizione e del Premio Letterario Internazionale Europa promosso dalla Universum Academy Switzerland – Lugano Sezione Narrativa Edita. E' primo classificato alla XI Edizione del Premio Letterario Internazionale Surrentum per la Sezione Narrativa Edita. Collabora con Istituzioni ed Enti pubblici e privati, associazioni culturali e mondo dell'imprenditoria.