Ormai. Ho letto questa parola su un muro per strada (la prima volta a San Pietro a Majella) e mi è piaciuta. Non ho pensato al suo valore conclusivo, è stato quello temporale a segnarmi, come se fosse sempre stata lì, come se fosse la sintesi perfetta della rassegnazione che esprimono persino i bambini quando provano ad imitare gli adulti. Non era però l’aura negativa ad ammaliarmi ma l’efficacia con cui ho recepito il messaggio, come se ci fosse sprofondata dentro tutta la Napoli che conosco. Questo è il motivo per cui ho deciso di raccontare qualcosa in più su Alfonso de Angelis, in arte Trallallà. Due volte doppia elle, come mi è stato specificato durante l’intervista.

Trallallà è una firma, la mia.  Prima di essere una firma era però un nomignolo attribuitomi trenta anni orsono dai miei amici, a causa del mio scanzonato modo di essere. L’espressione ha una doppia valenza: può essere usata per canticchiare gioiosamente un motivo di cui non si conoscono le parole, oppure può essere ostentata espressione di indifferenza nei confronti di qualcuno o qualcosa. Un paio di anni fa ho anche scoperto un verso del poeta Misa Sapego e mi è sembrato davvero perfetto: Soffrirò, morirò, ma intanto sole, vento, vino e trallallà.

Chi è e cos’è “Ormai”? Da dove nasce l’idea? In molti si chiedono cosa ci sia dietro questi stencil che sono visibili in moltissimi luoghi di Napoli, alcuni dei quali molto suggestivi. Mi interessa in particolar modo conoscerne il messaggio, ma naturalmente anche la scelta della parola in sé.

Una parola da sola, isolata da un contesto e al di fuori di una frase, diventa un’icona, un concetto grafico. E se la parola ha un significato interpretabile in diversi modi, diventa un concetto complesso, espresso però da un segno elementare. “Ormai” può indicare una sensazione di rassegnazione (“non c’è più niente da fare”) ed è recepita perlopiù in questo senso; ma può indicare anche una consapevolezza, una presa di coscienza (“a questo punto”).  Io la leggo così, come un punto di partenza, coscienti di ciò che è stato. Ma dal momento in cui lo scrivo sul muro, il messaggio è proporzionato al semplice lemma e questo perché evoca suggestioni diverse da individuo a individuo. Mi ha sorpreso il fatto che abbia incuriosito molti giovanissimi, non me l’aspettavo. Alcuni hanno scelto di tatuarsela. Devo dirti che queste sono considerazioni a posteriori.

Questa parola è entrata nella mia vita grazie ad uno scherzo. Un paio di anni fa, alla soglia dei miei cinquant’anni, la mia amica Brunella, prendendomi in giro per la mia età e alludendo al fatto che avrei dovuto prendere in considerazione l’idea di adottare comportamenti più maturi, mi disse: “Ormai è la parola adatta a questa fase della tua vita. Te la dovresti far tatuare. Se vuoi la tatuo anche io. Era la parola preferita di mio padre”.  L’abbiamo poi tatuata con inchiostro bianco, quasi invisibile. Per questo è corretto dire che “ormai” è un lavoro di Trallallà e non una firma a sé stante.

Alla domanda “quando hai iniziato a portare le tue creazioni in strada?”, Trallallà mi specifica che non si sente uno street artist.

Ho sempre disegnato perché mi procura piacere. Il disegno funziona su di me come una psicoterapia, è una valvola di sfogo ed una libera modalità d’espressione. Ho portato i primi lavori per strada nel duemilaquattro. Erano stencil che rappresentavano sacchetti della spazzatura (al tempo si era in piena emergenza rifiuti); è stato abbastanza naturale cercare di esprimersi liberamente, senza chiedere il permesso a nessuno, in maniera elementare con mascherine e bombolette. La cosa che mi piace dell’arte di strada è proprio questa: chiunque abbia voglia può farla e non c’è bisogno di avere un particolare curriculum né sono necessari i curatori.

Tra la mia collezione di stampe oggi sbuca anche Trallallà con la sua ciaciona. Espressione veracemente napoletana, che evoca una bella figliola, corposa e cianciosa. Una vera icona napoletana che tutti noi abbiamo visto almeno una volta passeggiando per il centro antico. Ma quando è nata, a cosa è ispirata?

La ciaciona nasce passeggiando per le strade di Napoli, osservando delle ragazzine grasse ed orgogliose delle loro abbondanze. Mi è sembrato un atteggiamento quasi eversivo, resistente all’omologazione imposta dagli art-director delle agenzie pubblicitarie. Un’insolenza sensuale, ironica, ribelle, come il burlesque più consapevole di donne che rivendicano la libertà di essere belle come pare a loro, infischiandosene allegramente dei modelli preconfezionati. Nasce proprio così la ciaciona, la prima volta su una saracinesca di via San Pietro a Majella. E poi è diventata un’icona.

Oggi la ciaciona è anche sirena, un’evoluzione naturale in una città che prende il nome da una sirena e che delle sirene ha fatto culto in antichi rituali dionisiaci. La sirena grassa è Napoli, sensuale, slabbrata, esagerata.

Aspetta nu’ mumento! Negli ultimi tempi sono aumentate le combo con Luca Serafino. Come nasce questa collaborazione?

Nel marzo del 2018 all’ex Asilo Filangieri, si è tenuta la prima Feira, una fiera dell’editoria indipendente ed autoprodotta, su iniziativa dell’artista brasiliana Flavia Bomfim. In quell’ occasione alcuni artisti che gravitano intorno all’ex Asilo Filangieri hanno realizzato delle affissioni non autorizzate di poster. Luca ed io abbiamo continuato quel percorso, cominciando a lavorare insieme per strada, ognuno con i propri lavori o con lavori comuni, come i Piedi sulla Chiesa delle Scalze.