Ho appena salutato Mary e risalgo via Benedetto Croce un po’ di corsa, cercando di raggiungere piazza Bellini con un ritardo non troppo indecente. Entro da Spazio Nea, il luogo dell’appuntamento, mi guardo intorno e facilmente individuo il gruppetto dei giornalisti che stanno intervistando i registi di due dei film in programma per il 23 settembre, giornata d’apertura della rassegna Venezia a Napoli. Mi siedo accanto ad Antonella Di Nocera, coordinatrice del progetto, di fronte a una bella ragazza bruna che non conosco, ma che subito comprendo essere Suha Arraf, la regista del film che ho appena visto: Villa Touma.
Non ho preparato domande per lei, né sono provvista di una scaletta “adatta a tutte le occasioni”. Ho ancora il suo bellissimo film negli occhi, e nella mia testa non è ancora del tutto finito. Le protagoniste, Juliette, Antoinette, Violette e Badia, sono ancora nella loro fortezza dorata di Ramallah, chiuse in abiti crema bon ton e nel dolore, intente in occupazioni da Piccole Donne. Le scene si dilatano nella mente, si sedimentano e svelano significati che non avevo subito colto. Accade ciò che mi capita sempre quando vedo un bel film: sono persa nei miei ragionamenti e sono gli occhi sicuri di Suha a tirarmene fuori.

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disegni di Mary Cinque

Pensavo al quarto protagonista della storia, assente fisicamente, ma sempre presente – le dico nel mio inglese arrugginito e aiutata da quello invece fluente di Antonella – il Tempo. Il Tempo che passa, scandito dalla pendola e dai rumori provenienti dall’esterno, ma che è fermo in un eterno presente anni ’50, all’interno di Villa Touma.
Suha mi guarda, effettivamente non le ho fatto nessuna domanda, ma lei capisce a cosa voglio arrivare. Mi spiega l’uso che ne ha fatto, utilizzando il concetto di immobilità anche in chiave politica.
Fatti accadono, continuano le lotte e la violenza, ma niente cambia. Alla fine tutto resta immobile. Utilizzo diverse metafore ma resta il fatto che questo è un film che parla di politica”.
Questo film parla di politica, sì, ma parla anche di donne. Tre sorelle che accolgono riluttanti la figlia del fratello morto, cercando di strapparla al corso degli eventi e imprigionarla nel loro mondo di rarefatta bellezza. Sono donne che vivono, mangiano e lavorano insieme, tuttavia ognuna è chiusa in un universo di solitudine e di rimpianto. Tutte hanno amato e hanno perso l’oggetto del proprio amore.
In realtà – dico a Suha – piuttosto che rimpiangere una persona amata, sembrano rimpiangere il concetto di amore. Nessuna delle tre sorelle ha effettivamente vissuto pienamente un rapporto amoroso, i loro uomini, che compaiono solo in poche foto e fugaci racconti, sembrano soprattutto dei simboli di un concetto di amore.
Anche in questo caso nessuna domanda, anche in questo caso Suha mi comprende al volo.
È proprio così: Juliette, Antoinette e Violette sono tre sorelle vergini. Hanno idealizzato l’amore, non avendolo mai realmente vissuto. E questo le fa chiudere ancora di più in loro stesse, nella loro sofferenza – dice Suha.
Non c’è solidarietà e conforto reciproco, ognuna è al contempo vittima e carnefice di se stessa e delle altre. Solo Badia romperà “l’incantesimo”: non sarà mai una farfalla appuntata con gli spilli.
Dopo i saluti di rito il gruppetto si scioglie. Mi avvio verso casa senza fretta, il passo giusto affinché possa ancora pensare alle tre sorelle, a Badia e immaginare come potrebbe proseguire la storia.

scheda film

Villa Touma di Suha Arraf – 85’

Con Ula Tabari, Nisreen Faour, Cherin Dabis, Maria Zreik
Trama: Tre sorelle Cristiane Palestinesi, perdute le loro terre e la loro posizione sociale in seguito alla guerra con Israele del 1967, per non affrontare una realtà tanto dolorosa, si rinchiudono nella loro grande casa, continuando a vivere come nel passato. Ognuna di loro vive nella propria bolla di sapone, ognuna con i suoi segreti, sogni e amori falliti. Quando la loro giovane nipote Badia va a vivere a Villa Touma, le tre sorelle saranno costrette a rompere la loro routine e a tornare nel mondo esterno.

 

 

Divagazioni cinematografiche – Perché amo Dario Argento (di Bernardino Di Palo)

 

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Il cinema di Argento è(ra) un sussulto al cuore, una continua suggestione di suoni, luci ed architetture, lunghissimi corridoi, specchi, riflessi e particolari. I particolari inquadrati, i particolari mancanti. Perché c’è sempre qualcosa che il nostro inconscio conosce, che ha visto o sentito, ma è celato ricordo. Il trauma, sempre presente, che caratterizza l’esistenza dell’uomo e lo porta a compiere gesti disumani. E poi le donne, le Madri e le lune, quasi sempre presenti; gli uomini no, di meno, e spesso inconsistenti.
Si può amare Argento al punto da prendere un treno per Torino una domenica mattina ed arrivare sul set de La Terza Madre: fu bello vedere il Maestro dietro la telecamera; la sua energia, la sua cordialità; fu divertente far asciugare le lacrime di scena di Asia con il proprio fazzoletto, e dopo le 3 ore sul set (per una scena di una trentina di secondi), riprendere il treno notturno per ritornare a casa.
Argento è questo e molto di più. 

A proposito dell'autore

Project Manager

Alla formazione scientifica (studi in Medicina Veterinaria, prima in Inghilterra e poi in Italia) unisce l'insana passione per l'arte e la letteratura. Dal 2012 collabora con la casa editrice Marchese editore, occupandosi di pubbliche relazioni, promozione e creazione di eventi culturali. Nel 2013 fonda con alcuni collaboratori il blog "About M.E.", legato all'attività della casa editrice ma fin dall'inizio aperto a tutto ciò che è cultura, con particolare attenzione a ciò che succede sul territorio campano. Ama i cappelli, Dostoevskij, e il té delle cinque.