Cosa sono le coppe della Manifattura Reale di Sèvres che erano parte del servizio della latteria di Rambouillet? Queste coppe sono una delle manifatture più belle di tutto il Settecento. La tradizione di produrre latte e prodotti derivati nei parchi delle residenze reali era consolidata e già di lunga durata, almeno da Caterina de’ Medici. A Chantilly trovate ancora bellissime “capanne”, ricostruite in epoca napoleonica o più tarda, delle vere casette in bianco e legno alla normanna che gestivano l’intera filiera pastorale. A Versailles, a Rambouillet c’erano quelle di Maria Antonietta, dove le casette lì le coppe. A questa donna dobbiamo l’opera del Maestro Ontani che celebriamo in queste righe, ma alla regina dobbiamo una splendida decapitazione, la fioritura della pornografia moderna, dell’ottimo burro e queste casette per giocare a fare i pastori dentro il parco di una residenza reale. Ma l’oggetto più bello – dicevamo – è quella coppa da latte di Sèvres, datata 1787, chiamata Bol sein, o coppa-seno e attribuita a Jean-Jacques Lagrenée le Jeune e Louis-Simon Boizot.

Oltre alla celebre storia delle brioche, insomma, ricordiamoci anche che di questa coppa si disse fosse stata modellata sul seno della regina, che fu possibile modellarla – per concessione reale – sulla forma e sulle misure del suo seno.
Ma veniamo alla descrizione dell’oggetto e all’ambiente che lo commissionò. Una coppa all’etrusca, una ciotola di porcellana impeccabile, di colore latteo, o sfumato nel rosa carne fino alla punta rovesciata, posta quindi al di sotto, lasciando terminare così la forma sferica in un rosa più deciso a forma di capezzolo. L’intero svasato, che a partire dal capezzolo fa sciogliere la sua solidità smaltata in una sensazione liquida e calda, è sostenuto ai lati da due teste caprine che si rivolgono all’esterno. Il sostegno è in un modulato unico a tre teste, spesso policromo, dai colori azzurrati e vivaci. Solo le varianti realizzate nel XIX secolo presentano il bianco assoluto affiancato all’oro. L’ambiente che volle questa serie di porcellane, la corte e le amiche della regina, consumavano da quegli orli un omaggio alla bevanda più naturale e più animale, il latte. Ne bevevano, ne mangiavano, ne gustavano il caglio, le panne, ne allevavano le fattrici, godevano di edifici più lussuosi delle semplici casette, templi dai marmi più bianchi costruiti quasi per un culto alla ninfa Amaltea, nutrice di Zeus, venerata nel fondo roccioso di questi tempietti distrutti dalla Rivoluzione. La stessa principessa di Lamballe, che dovete immaginare amica della regina e delle latterie, fu lì a mungere e poi fu stuprata dagli eserciti e smembrata alle Tuilleries, martirizzata e poi canonizzata.

Illustrazione di Roberta Garzillo

Senza il sadismo erotico della Rivoluzione non percepiamo più questi oggetti a forma di goccia condensata e ceramizzata, oggetti a forma di seno animale e umano che riposavano nell’innocenza, nel décor neoclassico e non sessuato. Dal color carne al rosa, dal latte fresco di mucca al vasellame che rievocava con nitore pari al candore il seno femminile, avviene e si ripete davanti a chi guarda un travaso di natura e d’ingenuità, di estrema civilizzazione e di innocenza sfigurata di cui è impossibile ritrovare la formula e il sapore.
Il Maestro Ontani ha fatto suo un oggetto che era già suo, chiunque, guardando per la prima volta il pezzo originale di Sèvres, avrebbe potuto già pensare, per anacronismo, a un’opera di Ontani. Con la sua rilettura il Maestro ha voluto giocare, accogliendola e deridendola, con la nostra fiduciosa aspettativa. Dall’altra parte il Maestro ha voluto omaggiare e scoprire la violenza erotica della Rivoluzione, portarne il ricordo fuori da quegli oggetti, spogliarli, esibirli, violentarli ancora una volta e farli violentare a noi, complici, eredi, beneficiari della Rivoluzione. L’ha voluto fare per noi che possiamo comprare all’asta le coppe da latte e gioirne in privato.
Estendendo la fruizione a noi, mostrando quel seno fuori dalla sua privatezza, da quei pascoli finti, ha celebrato l’esito della Rivoluzione, un coito kitsch che ha rovinato la purezza dell’incarnato originale, lo ha reso una volgare parodia, un seno plastico e abnorme, stuprato ugualmente e nuovamente. A salvare il Maestro dall’acredine ottusa e – non si dica – reazionaria, è apparso il maquillage camp dell’intera operazione. Uno scherzo sotteso allo scempio che interviene proprio sul modellato della coppa, che non è stato ottenuto sul calco regale ma su un calco reale di una celebre attrice porno, non un’attrice vivente ma una dilettante degli anni ’50 ormai scomparsa di cui sono state ricostruire le forme note e registrate di quando era all’apice della giovinezza. Ma tuttavia resta un calco funebre questa nuova porcellana di Sèvres, ricostruzione e misura di un seno fotografabile, prostituito, serigrafato dalla pornografia, noto solo agli archivi Taschen.
Si tratta quindi di una coppa soltanto simile all’originale, che ricorda lo smalto Ancien Régime ma che è anche un oggetto hollywoodiano, una stranezza di gusto Russ Meyer. Le dimensioni innanzitutto sono diverse rispetto a quelle del seno regale, già sontuose come soltanto ammirarne le proporzioni dal vivo permette d’intuire. L’incarnato mantiene la colorazione minerale, vitrea e opaca insieme della porcellana ma con qualcosa di più inquietante, simile a una sensazione di realtà, di promessa tattile che l’originale non suggeriva. Una sollecitazione più accogliente e più artificiale insieme, esibita e non nascosta, sostenuta anche da quel mirabile omaggio al ferretto, alla biancheria d’antan che prende il posto delle due teste caprine ai lati dell’anfora.

 

Disclaimer: quest’articolo fa parte della rubrica “Recensioni immaginarie” a cura di Emanuele Canzaniello, dove si narra di opere mai viste, top secret o immaginarie, il lettore si assume tutte le responsabilità di diffondere e/o condividere l’articolo.

A proposito dell'autore

Studioso di letterature comparate è autore di prose critiche su oggetti immaginari, dalle opere d’arte pubblicate in esclusiva per Racna alle recensioni di film mai esistiti apparse su «Le Parole e le Cose» e «Nazione Indiana». Del 2017 il suo primo libro di poesia Per l'odio che vi porto edito da Oédipus. Ha tradotto alcuni lavori di Harald Weinrich.