Polisemia dei messaggi e orizzonte esistenziale attuale.

La circolazione sempre più caotica di informazioni che connota profondamente il nostro attuale orizzonte sociologico ci costringe a interrogarci sul senso della comunicazione e sull’essenza dei linguaggi. Messaggi visivi, sonori, testuali si caricano di verità continuamente nuove e inedite in base al differente contesto in cui essi si inseriscono. Si può assistere al paradosso di un segnale comunicazionale che, emesso da un determinato ambiente caricato di specifiche accezioni, vira o inverte del tutto il proprio significato se viene introdotto in un ambito sociale, politico, culturale diverso. Dinamica di “tradimento” inevitabile ai fini della diffusione del pensiero, ma allo stesso tempo foriera di interrogativi e problematiche di integrazione, comprensione, dialogo ad ampio raggio. La realtà multiculturale, premessa e humus generatore per una natura polisemica dei codici e delle espressioni intellettive e spirituali dei popoli, è il terreno sul quale ci dovremo confrontare allo scopo di ingenerare reale scambio e cooperazione tra gli individui e i gruppi antropici. Cos’è il linguaggio? Quale il reale significato di un segnale visivo, uditivo o grafico? Dove si celano l’entità e l’essenza più autentiche e intrinseche di un messaggio? Può una verità sussistere anche indipendentemente dal suo significante, e quale senso esistenziale è possibile ricavare dalla risposta a tale domanda? Succede che anche le stesse masse, col sempre crescente fenomeno delle migrazioni e immigrazioni, si rendano nube di segni umani – per analogia con quelli dell’informazione – in continuo spostamento, coacervi di contenuti esistenziali individuali e collettivi fino a un attimo prima definiti e radicati e poi improvvisamente destinati a mutare o perdere il loro senso perché trasferiti in un contesto di cultura e soprattutto di relazioni del tutto diverso. Persone sino al giorno precedente abituate a essere considerate padri, madri, figli, fratelli, amici, membri di una compagine di legami e tradizioni in cui riconoscersi mutuamente, in una parola segni umani e affettivi di ricchissimo e inequivocabile peso, si ritrovano ex abrupto divelti e strappati all’ambito che dava loro irrefutabile significato ed esposti al rischio di divenire mute e insignificanti presenze dal valore non più visibile e comprensibile. Anche agli individui, intesi come informazioni esistenziali e vocaboli di un lessico relazionale, può succedere, similmente ai lemmi e agli elementi informazionali, di trasformare o invertire la loro valenza se trasferiti da un contesto strutturale all’altro. Più che sottoposti a una polisemia, alla mercé di una vera e propria, tragica, a-semia priva di senso. Ma a minacciare la dignità e l’autenticità degli esseri e dei messaggi umani è anche un’altra, opposta ma non meno subdola e dannosa, dinamica tipica dell’odierna dimensione antropologica: l’esautoramento di significato di un segno, dovuto alla sua ossessiva ripetizione, artificiosa esasperazione e incongruente esposizione, meccanismi caratteristici dell’onnipresente sensazionalismo mediatico. Di eventi, emozioni, sentimenti appartenenti a una sfera individuale, ricchi di portata nel contesto puramente privato in cui sono generati, si isola, stigmatizza, reitera e ingigantisce al parossismo l’aspetto più superficiale dell’apparenza con cui essi si manifestano, il segno visivo e uditivo con cui sono percepibili, e si muta la sfera di significazione cui appartengono, gettando nel mare magnum dell’infinita e incontrollabile fruizione pubblica consentita dai media contenuti che in realtà possono conservare il loro profondo valore solo nell’originaria sfera di intimità. Fiaccato dall’ottusa indifferenza apparentemente iper-razionale – ma in realtà emotivamente difensiva – che rifiuta di comprendere la valenza di individui di cui non si conoscono il nome e la storia, o diluito sino all’annullamento nell’insensata diffusione di informazioni senza autenticità relazionale, il messaggio-persona rischia sempre più di ritrovarsi privo di significato e di un linguaggio realmente capace di comunicarlo. Ed è proprio tale pericolo di perdita del senso umano, oltre che semantico, che dovremo sfidare per far sì che l’attuale turbinoso dinamismo di esseri e informazioni sia artefice di fecondo arricchimento e non di disperato immiserimento contenutistico ed esistenziale.

Anja Puntari - Dexter - courtesy l'artista

Anja Puntari – Dexter – courtesy l’artista

Anja Puntari tra ricerca metalinguistica e umana

Anja Puntari (Marburg an der Lahn, Germania, 1979) da sempre concentra la sua ricerca artistica proprio sul senso delle immagini e dei suoni, intesi come veicoli comunicazionali visivi o sonori, e su come questo senso possa essere determinato o modificato dall’ambiente socio-culturale che ha partorito o che recepisce tali segni ottici e uditivi. Tutta la sua indagine – mai tra l’altro scevra di un’elegante facies percettiva e di attenzione al dato estetico, inteso non come decorazione ma come potenziamento dell’esplorazione etica e cognitiva – è orientata ad approfondire, mediante dinamiche di decontestualizzazione e straniamento, il meccanismo secondo il quale il nostro cervello e la nostra psiche percepiscono e caricano di significato alcuni significanti avulsi dal loro panorama consueto e strappati alla banalità dell’usuale automatismo associativo di contenuto. Il suo è un percorso esplorativo ad alto tasso di rigore semantico, ma che allo stesso tempo si intensifica di risorse e potenzialità sociologiche, psicologiche e ampiamente esistenziali, dal momento che l’analisi non è mai condotta in senso asfitticamente e meramente metalinguistico entro i confini chiusi del codice del medium utilizzato, ma si misura con esperienze emotive e portati di vissuto capaci di inserire l’accurata ricerca strutturale in un orizzonte più vastamente umano.

Anja Puntari - Oblazione - courtsey l'artista

Anja Puntari – Oblazione – courtsey l’artista

Perdita del significato, ritrovamento del senso

Polisemia dell’immagine, ricerca sull’essenza del linguaggio, investigazione dell’attuale senso esistenziale a livello personale e sociale sono unificate ed espresse in modo magistrale proprio dai Ritratti senza nome di Anja Puntari. Partendo dalle immagini dei visi di cadaveri non identificati ritrovati nell’area di Milano, la maggior parte immigrati venuti in Italia inseguendo la speranza – o l’illusione – di un avvenire migliore, l’artista ingigantisce e assolutizza la fisionomia e i lineamenti dei deceduti, scegliendo di stamparli in un formato piuttosto grande, maggiore rispetto alle dimensioni naturali, e allo stesso tempo introduce in questo meccanismo di focalizzazione e significazione un paradosso: i volti sono resi evanescenti, quasi ectoplasmi e fantasmi in via di scomparsa, appena affioranti dal fondo. È proprio lo stesso destino subito dai protagonisti, assurti a rilevante problema sociale e di gestione pubblica (per la crescente quantità di cadaveri ritrovati nei dintorni di Milano senza identificazione è stato necessario istituire un centro apposito, il Labanof) ma sostanzialmente ancora, umanamente ed affettivamente, tragicamente invisibili, dal momento che nessuno è venuto a reclamare il corpo o a denunciare la scomparsa. Similmente inavvertiti sono, nell’odierno flusso frenetico delle megalopoli, i suonatori ambulanti interpreti degli estratti musicali alla base di Invisible players, opera audio in collaborazione con Massimiliano Viel. Fedele al suo assunto di utilizzare materiali in origine già esistenti e non da lei prodotti ex novo, per sostanziare la propria ricerca sociologica e semantica di verità e autenticità filologica, l’artista finlandese rinviene in Rete il sonoro di filmati rappresentanti mendicanti-suonatori di strada provenienti da tutto il mondo. Nella gran parte dei casi, anch’essi immigrati o poveri del tracollo finanziario mondiale, potenziali future vittime, senza più famiglia né patria, dell’indifferenza e della non visibilità, possibili ulteriori cadaveri senza nome. Con gli inascoltati segni sonori di individualità cadute e precipitate nel vuoto relazionale e sociale, Anja Puntari e Massimiliano Viel scolpiscono lo spazio e il vacuum dell’ambiente della galleria, plasmando mediante molteplici uscite audio la tridimensionalità della sede espositiva in un luogo dell’assenza che si riempie ora di un pieno struggente: quello della dolorosa evocazione di chi come voce e urlo d’aiuto ha ormai solo un violino da mendicante. Scioccante contraltare concettuale all’anonimato e invisibilità degli individui negletti dei Ritratti senza nome e di Invisible players sono l’eccessivo sensazionalismo e la morbosa iper-visibilità della sofferenza delle vittime di catastrofi e incidenti nelle videoanimazioni Oblazioni, o delle lacrime esasperate e talora mistificate di Cristina e Dexter, concorrenti di reality show televisivi. In verità il contrasto è sanato nella constatazione che le prime non ottengono maggiore dignità dal sistema mediatico, che sa solo strumentalizzarle e mercificarle a fini di audience: influente è l’osservazione che gran parte dei drammatici eventi in cui esse sono coinvolte avviene negli stessi paesi in via di sviluppo o nei medesimi contesti di clandestinità, da cui provengono i soggetti dei Ritratti senza nome. I secondi sono invece sintomo e conferma disperata di un orizzonte antropologico in cui il valore della persona sembra sempre più transitare attraverso le regole dettate dai media. Eccessi e perversioni dell’attenzione e della trasmissione linguistica che altro non sono che l’ulteriore faccia della dimenticanza e dello svuotamento di senso e significato. È questo lo squilibrio che Anja Puntari ri-bilancia attraverso il filtro della sua interpretazione e del suo codice espressivo. In Oblazioni, con una rivoluzione d’impatto copernicano, letteralmente “cancella” le immagini delle vittime, intensificando il focus sulle intermittenti silhouette dei soccorritori. Disinnescata dall’elegante semplificazione del tratto dell’artista, la “pornografia” del dolore cede il passo, nel silenzio del bianco e della riflessione, all’accorato pulsare, nelle figure degli astanti, della loro e nostra umana partecipazione. Simile è l’evaporazione e la dissoluzione dell’ingombrante figura mediatica in Cristina e Dexter.

Anja Puntari - Cristina - courtesy l'artista

Anja Puntari – Cristina – courtesy l’artista

La pioggia delle loro esasperate e teatralizzate (anche, talora, al di là delle intenzioni) lacrime si scioglie e parcellizza in un non così diverso scroscio di stelle e lucine da star system colorate e glamour, che, significativamente, è l’unico sfondo e riempimento dei loro svuotati contorni. Ma l’eccesso incongruo di riconoscibilità e tragicizzazione di persone ed eventi, inglobati nella comune attenzione solo per fini utilitaristici o per innaturali e inautentiche deviazioni dei meccanismi di attribuzione di senso, altro non fa che potenziare il deflagrante bruciare dei vicini Ritratti senza nome o Invisible players. Dei lineamenti contratti, delle palpebre rigonfie e richiuse degli uomini e donne dalle fattezze straniere mostrati dall’artista, dei violinisti anonimi dal negletto messaggio non si conoscono le vite, le vicende, gli affetti, e men che meno i nomi, eppure si avverte ora, nella sospesa partecipazione artistica, l’ingombrante peso umano ed esistenziale: i volti senza identità e i suoni persi di Anja Puntari sono senso senza più significato né significante, smarriti entrambi nello sradicamento che ha cancellato vita, relazioni e nome, pura essenza sfuggita a un incasellamento linguistico e burocratico, privata persino dell’identificazione razionale, sociale e glottologica per eccellenza – la denominazione – eppure proprio per questo, al di là di ogni meccanicità di linguaggio e forma, dalla verità ed esistenza ancor più profonde e tragiche. Nessi di senso (nome-anima/corpo: persona) che nel loro paese erano agglomerati preziosi e inscindibili di legami affettivi, ruolo sociale e visibilità fisica, che allontanatisi dal proprio contesto semantico-esistenziale si sono ritrovati a essere meri corpi, relitti, sedimenti biologici, senza neanche la denotazione minima di un appellativo. Fenomenologia anatomica, sorda materia, segni e apparenze organiche che non si riescono più a leggere e interpretare. Come non si riuscirebbe a tradurre e comprendere il significato delle lingue da essi parlate. Perdite senza lutto (dall’assenza di pianto così sconcertantemente contrapposta all’eccedente compiacimento nelle lacrime dei drammi spettacolarizzati o dei reality), morti senza rito, mancanze non pacificate dal codice sociale ancor prima che religioso di un funerale, che solo ora, nell’arte di Anja Puntari – che analizza e coscientizza linguaggi e meccanismi di significazione per sfondarli, disinnescarli e oltrepassarli alla volta di una superiore profondità – attingono alla pietas e all’accorata attenzione del visitatore, nello sguardo assorto dell’empatia, il riconoscimento e la dignità di esistenza. La traduzione, ora sì, dall’essere mero ingombro senza significato né significante all’assurgere a illimitato e perentorio valore. Forse un valido linguaggio e una reale comunicazione per il messaggio-uomo passano attraverso l’abbandono, al di là di ogni certezza cognitiva e delle regole, schiavitù e degenerazioni del codice, all’istinto di appartenenza e comprensione. Per lasciare che il senso arrivi, prima ancora della sua ragione o del suo nome.

A proposito dell'autore

Sono un critico, curatore e docente d’arte contemporanea, ma prima di tutto sono un “addetto ai lavori” desideroso di trasmettere, a chi dentro questi “lavori” non è, la mia grande passione e gioia per tutto ciò che è creatività contemporanea. Sono da anni ideatrice, curatrice e docente di corsi e laboratori di avvicinamento all’arte contemporanea in numerosi enti culturali e universitari, condotti secondo la metodica sperimentale di didattica dell’arte da me ideata che sintetizzo sotto il label di CCrEAA - Comprensione CReativa ed Empatico Ascolto dell'Arte.