Nasco a Parigi nel 1975 e vivo fino ai 12 anni nel 18esimo arrondissement, a Montmartre, mescolandomi a un’umanità urbana multiculturale. Da bambina passavo molto tempo per strada. Eravamo una banda di sei, sognavamo molto e ne combinavamo di ogni. Di quel periodo la mia passione per i materiali e i pattern tessili, le texture africane con i suoi wax, la mia meraviglia per i lavori di Christo e Jeanne-Claude. Amavo Keith Haring e Ben Vautier, Mittérand e il ministro della cultura Jack Lang, il tutto ascoltando Krafwerk, Michael Jackson, Claude François e Emilie Jolie.

Coquelicot Mafille

Inizia così, come fosse l’incipit di un romanzo, la biografia di Coquelicot Mafille. Del resto, soprattutto per chi ha avuto modo di conoscere i suoi lavori, questa atmosfera romantica ed intensa non avrà certamente sorpreso. Comunemente definiremmo questi caratteri parigini ma in realtà sono ricchi di evoluzioni e contaminazioni. Quando Coquelicot Mafille si trasferisce a Milano, infatti, inizia da subito il contatto con l’universo degli skaters ed il modo hip hop.

L’arte è dunque nelle mani, nella testa, nella voglia di viaggiare e di conoscere.

Mio padre è pittore, dal forte uso del colore impressionista per suggerire una linea di stile, ma è stato anche professore di anatomia artistica all’Accademia di Brera di Milano. Ha dipinto tele grandissime e muri già dagli anni ’60. Mia madre è stata stilista per Pierre Cardin, Fiorucci e Fila e da piccola l’ho sempre vista disegnare o cucire. È una donna dalle abilità manuali impressionanti, capace di costruire o realizzare pressoché qualsiasi cosa.

Dal 2010 Coquelicot Mafille utilizza proprio il ricamo come traccia dei suoi lavori, pian piano declinato su altre superfici come muri, vetri e tele, utilizzando la pittura o l’adesivo.

Ho iniziato ad utilizzare il medium del filo pensando che la mia capacità fosse nell’osservazione e nel formare un’immagine mentale da trascrivere anziché disegnare a mano libera, così ho trovato un sistema a più passaggi col quale manifestare la mia immaginazione. Parto spesso da immagini e fotografie tratte dalla mia vita personale, momentanee o costruite apposta, immagini di archivi della storia dell’arte e della fotografia, da un materiale immaginifico a disposizione planetaria.  Da lì traccio il mio segno, creo il mio personale archivio di disegni preparatori.

Il ricamo riesce a sottolineare la forza di un’attività artigianale ma richiama spesso anche ad una tradizione che si perde sempre più. Per qualcuno è parte di una educazione ormai vetusta ed in particolar modo in Italia è spesso connesso al contesto familiare, alle nonne. Qual è il rapporto creativo e visivo che hai con esso?

Per me il ricamo è legato alla scrittura, in quanto gesto, come meditazione che ne deriva. Prima di dipingere ho scritto poesie e cahiers intimes, reportages e articoli. Ho ritrovato quel movimento nel ricamare. Ha a che vedere con il tempo, l’attenzione, la presenza, la memoria. Per me il ricamo non evoca un’attività né esclusivamente femminile né da vecchie signore, anche se una volta sono stata invitata a un festival di ricamo a Castellammare del Golfo, ed è stato divertente spiegare alle ottuagenarie che non conoscevo nessun punto preciso. I punti di ricamo che impiego non sono convenzionali, ciò che mi interessa è il senso e la forma di ciò che è o sarà ricamato.
Numerosi artisti contemporanei e moderni hanno usato e usano questo medium, uomini e donne, così come in numerosi paesi africani i più bei ricami sono riservati per ed eseguiti solo da uomini. Allo stesso modo che un pennello o una penna, ricamare conduce lo spirito a tradurre il suo linguaggio intimo.

I personaggi delle tue opere sembrano i protagonisti di un racconto. Quali storie o relazioni ti piace raccontare?

È una narrazione del mondo di oggi, una delle possibili esperienze che se ne hanno e che si vivono. Sono racconti dove la realtà e la visione poetica si intrecciano, citando e rimandando ad altri luoghi o tempi e condizioni esistenziali. Sono poesie, haiku visivi, aperture su pezzi di vita vissuta dall’umanità e dal nostro mondo tutto. Fatto di Terra, Animali, Piante, Oggetti, Paesaggi. Un insieme coabitante caotico terribile e magnifico.
I miei lavori urbani contengono spesso un messaggio politico, declinato e concepito in quello che la politica ha di umano, banale, fatto di piccole cose quotidiane. Raccontano momenti umani, animali e vegetali, fatti di piccole cose di niente, di gesti e di pause, di attese e di vita, mischiati ai fatti della Storia, dell’assurdo che ne scaturisce. Sono storie che si leggono in modo circolare, partendo da dove si vuole. C’è la sensazione di uno spostamento all’interno di un tempo e di uno spazio. Sono stanze che si aprono e che si chiudono.

 

E gli ultimi lavori che hai realizzato?

Quest’anno ho amato particolarmente realizzare una parete in una scuola libera e particolare a Parigi, École42. Una scuola aperta 24/24, senza professori e senza esami, dove gli studenti possono entrarvi senza diplomi ma sulla base di una selezione che avviene ogni anno attraverso modalità legate al gioco e alla soluzione di errori. Qui ho dipinto due giovani figure che si danno le spalle, una che sembra dar da bere a una colomba e l’altra che la trattiene tra le sue mani. La scritta dice, to let fly what you wanna keep, grosso modo, lasciar andar quel che vorresti tenere. Lascia scorrere, fai volare quel che non ti serve più. E anche non pensar di controllare tutto, le cose sono quello che sono e saranno quello che saranno. Per questa scuola per sviluppatori e studenti un po’ nerds, di codici e startup, mi è venuto naturale portare il movimento disordinato di un volo di uccelli che è simile ai processi mentali legati al divagare, all’immaginazione e al gioco.

E sempre a Parigi, quest’estate, ero contenta di esser intervenuta sui vetri delle pensiline degli autobus con vari ritratti. In francese si chiamano abribus, e vi è in questa parola il significato del riparo, di luogo dove si trova rifugio. I lavori realizzati riguardano questa tematica e quella della migrazione. Con le scritte che dicono pas étrangère à ma terre (Non straniera alla mia terra), la beauté est voyageuse (la bellezza è viaggiatrice), reine encore aujourd’hui (regina ancora oggi), un abri sur terre ce n’est pas la lune, che tradotto non letteralmente, significa un rifugio sulla terra non è la fine del mondomusicien avant toute chose (musicista prima di tutto) che se da una parte è un omaggio al poeta Verlaine, De la musique avant toute chose, dall’altra dice che prima di essere definito migrante con i tristi stigmatismi e pregiudizi amari di questo periodo, sono un’artista, un musicista, una persona di conoscenza e sensibilità.