Li seguo da anni, dalle sponde di Marsiglia, fino all’aeroporto di Singapore, passando per le strade innevate di Courchevel. Sono i Voyageurs, i gruppi scultorei di Bruno Catalano, creature eteree , affascinanti nel misterioso rapporto tra vuoto e pieno, capaci di instaurare un dialogo con il mondo circostante, fino ad identificarsi con esso.

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Sono migranti o nomadi, muniti di una valigia alla mano e di una speranza nel cuore alla ricerca di una vita migliore. Uomini per così dire “perforati” e forse ridotti a pezzi, come li ha resi metaforicamente l’ambiente circostante.
Con uno sguardo introspettivo procedono con passo incerto verso una realtà sconosciuta.

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Statue che sembra abbiano perso ogni organo vitale. In questo vuoto paradossalmente vi è rinchiuso il tutto, il mondo intero, quello di un’esperienza di chi ha viaggiato ed è cresciuto ulteriormente nell’avvicinarsi e nello scontrarsi con le culture altrui.
E chi meglio di Bruno Catalano conosce queste circostanze.

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Marsiglia è il suo punto di approdo, dopo aver vissuto da marinaio per 30 anni senza una dimora fissa, navigando tra i diversi porti del mondo. Ed è qui che ha iniziato la sua carriera: modellando l’argilla prima, la colatura in bronzo poi.
Ispirato ai grandi maestri come Rodin , Giacometti , Camille Claudel e soprattutto Bruno Lucchesi, da cui apprende la tecnica di modellare l’argilla, lo scultore riesce a superare la sfida dei suoi predecessori, aggiungendo una quarta dimensione nel suo tentativo surrealista, ben riuscito, di creare il vuoto nello spazio.

“Nel mio lavoro, sono alla ricerca del movimento e dell’espressione dei sentimenti; faccio emergere dall’inerzia nuove forme e riesco a levigarle fino a dare loro nuova vita. Proveniente dal Marocco anche io ho viaggiato con valigie piene di ricordi che rappresento cosi spesso nei miei lavori. Non contengono solo immagini ma anche vissuto, i miei desideri: le mie origini in movimento”.

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Le sculture di Bruno Catalano si innestano nel tessuto urbano; sono corpi lacerati in uno spazio da cui si intravedono scorci e prospettive diverse a secondo delle nostre capacità immaginative.
Li seguo come una sorta di migrazione umana, in diversi luoghi del mondo, laddove sono installati e non a caso questi soggetti scultorei trovano dimora in luoghi di transito, piazze, aeroporti, porti di mare.

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L’aspetto più affascinante è l’angolazione che stravolge il concetto di “tutto tondo” cui siamo abituati. Se le statue classiche possono essere viste da diversi punti di vista, girandovi intorno, e si lasciano ammirare per la rotondità delle forme, i gruppi scultorei di Bruno Catalano amplificano, come in una dimensione sonora, il concetto di tridimensionalità nella loro mancanza di volume delle forme, offrendoci metaforicamente il mondo materiale che le circonda. Di fronte ad esse potremmo immaginare come sarebbe quel corpo se fosse munito delle sue parti mancanti.

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Particolarmente emblematica è la monocromaticità del medium utilizzato, come se l’artista volesse lasciare al fruitore più spazio per la sua capacità immaginativa. Quale sarebbe il colore della pelle di questi viaggiatori solitari; a che etnia apparterrebbero?
Non sappiano se questo viaggiatore solitario abbia intrapreso il suo percorso volontariamente verso un orizzonte infinito, che lo circonda e lo abbraccia, o se sia stato costretto dall’esilio e dalla sofferenza alla ricerca di libertà o dall’istinto di sopravvivenza.

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L’uomo di Bruno Catalano non appartiene ad una sola città, ma diventa cittadino del mondo. La sua ricerca di identità comporta sempre qualche perdita. Il suo individualismo è frutto di compromessi con il mondo circostante, che lo ha forato nelle sue radici.
Non è forse vero che lasciamo un pezzo di noi stessi, nel nostro continuo migrare tra le strade del mondo, sia come turisti, sia come cercatori di identità?
E per chi sa apprezzare la Bellezza viaggiare significa proprio questo: lasciarsi perdersi fino a confondersi nell’armonia e nella ricchezza del mondo e le sculture di Bruno Catalano a pieno titolo sembrano rappresentare questo assunto.

A proposito dell'autore

Giancarlo Napolitano si è laureato in lingue e letterature straniere presso la facoltà di lingue dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli, discutendo una tesi letteraria di natura sperimentale sugli spazi e i tempi nell'Assommoir di Emile Zola, rivisitando il romanzo in chiave psicanalitica. Ha sempre nutrito un vivo interesse per l'arte, in particolare per quella rinascimentale. Vive da anni a Londra e ha potuto coltivare questa passione con continue visite alla National gallery che ha sempre considerato come una sua seconda dimora. Di carettere inquisitivo si interroga sulle opere degli artisti, continuo assertore del progresso, vede in ogni opera contemporanea un ponte con il passato con il quale rapportare ogni sua esperienza quotidiana.