Il contatto con Monica Biancardi, che per il secondo anno immortala con la sua fotografia i vincitori, e non solo, del Premio Napoli, è stato un piacere. In occasione della finale dell’edizione 2014 del premio – da due anni, per volere del Presidente Gabriele Frasca, premio culturale – ho scambiato due chiacchiere con lei, partendo dal principio del suo percorso artistico.

Ti sei laureata all’Accademia di Belle Arti con una tesi sperimentale sulla fotografia relazionata al teatro. La tua passione per la fotografia è nata da qui o si colloca in un periodo precedente?

Sono entrata in Accademia perché volevo diventare costumista, infatti insegno alle superiori storia del costume e negli anni dell’Accademia ho avuto modo di incontrare Mimmo Jodice, professore che aveva la cattedra di fotografia e col quale ho col tempo instaurato un rapporto d’amicizia. L’esame con lui andò benissimo e da lì decisi di fare anche una tesi sperimentale in materia, mi piaceva tantissimo l’idea di unire la fotografia e il teatro. Vedevo nel teatro una grande sala da ginnastica, non solo per me, ma per tutti, anche per i professionisti. Ai tempi miei, ti parlo di più di vent’anni fa, l’Accademia non possedeva alcun laboratorio, non c’erano chimici, non c’era un ingranditore. Volevo però imparare a fare fotografia e per fortuna ho incontrato Cesare Accetta, un grande fotografo di teatro e di cinema. Ho trascorso anni e anni di apprendistato nella camera oscura con lui. L’ambiente teatrale mi ha sempre affascinato: nello spazio chiuso, nell’ambiente circoscritto dalla volontà di un regista, ho trovato un mio spazio ideale, nel quale son riuscita a portare avanti diversi progetti. Le mie foto di teatro non sono mai state descrittive, infatti ho lavorato molto con Mario Martone, un regista che concede grande libertà, interessato a una fotografia non da reportage ma a qualcosa di “indipendente”, che fosse la manifestazione di un estro creativo.

 

"Francesco" - ritratto di Alta, tra i premiati del Premio Napoli 2014

“Francesco” – ritratto di Altan, tra i premiati del Premio Napoli 2014

 

Quindi da qui è cominciato il tuo percorso…

Sì. Comunque il lavoro alla base del mio progetto, della mia ricerca artistica, è la memoria, tema che accompagna tutti i miei lavori, fino ad arrivare all’ultimo di questi, Habitus, istallazione fatta coi miei vestiti e rappresentante la storia di vita bella e brutta, abiti poi messi sottovuoto e mai più indossati. Memoria anche in Ritratti, lavoro nato tanti anni fa e che ha avuto una vita felice.

Infatti hai ripreso lo stesso lavoro fotografando i vincitori del Premio Napoli.

Esatto. L’anno scorso vinsi e quest’anno hanno voluto che io curassi fortemente questa parte, perché conoscevano il mio lavoro storico e volevano che io facessi la stessa cosa con i premiati di quest’anno. Ritratti non è altro che la santificazione di persone ancora in vita. Durante il lavoro chiedevo semplicemente ai soggetti di mostrarmi le mani e questa domanda così banale ha creato molto imbarazzo. Immagina, se facessi adesso a te la domanda tu ci penseresti un attimo sopra, non sapendo, magari, se mostrare il dorso o la palma.

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E’ proprio così! Una delle reazioni che ti è rimasta impressa?

Una portinaia che adesso non c’è più e che si chiamava Immacolata. Lei è stata la più spontanea di tutti, mettendo le sue mani verso l’alto e, se hai modo di vedere la foto, sono sicura che l’assocerai a un’animelle del purgatorio, come quelle nelle teche che si trovano a Napoli. Quest’anno per il Premio Napoli ho fotografato un attore, Fabrizio Gifuni, persona splendida, e non pensare che per lui sia stato facile: dietro ogni scatto, da parte sua, c’era uno studio, tutto era pensato e strapensato, ricordo i suoi ampi respiri. Per questo mi è rimasta impressa questa donna che senza pensarci ha alzato le mani, per me è un’icona che porto con me a tutte le mostre.

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Rido e riporto l’attenzione sul concetto della memoria.

Proprio in questi giorni mi è capitata tra le mani l’opera di Varrone con i suoi ritratti, non solo della nobiltà ma anche di poeti e artisti. Sotto ciascun ritratto un epigramma elogiativo. Questi ritratti riguardavano però persone già morte. Invece in Ritratti, un lavoro sulla memoria e su quello che si fa col volto e con le mani, perché sono solo queste due parti del corpo ad essere sempre visibili. Mi piace operare nel vivo, nella presenza, nella contemporaneità, non sulla morte. Non so, forse questo concentrarmi sui vivi ha a che fare col fatto di non essere stata battezzata…

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Come mai?

Volontà dei genitori, e poi non ho mai voluto. Mi sono fatta domande e credo che anche questo episodio sia confluito tanto nei miei lavori… la soglia tra sacro e profano è talmente labile che non si capisce quando comincia l’uno e dove finisce l’altro. Riti di natura sanguinolenta che si fanno ancora nel meridione d’Italia ritornano in tutte le feste pasquali che non ritroviamo poi così raccapriccianti. Anche il mio ultimo lavoro RiMembra, gioca su un tema molto fisico. Si tratta di dittici, fotografie che non hanno relazione l’una con l’altra, anche se ci sono forti legami concettuali, estetici e coloristici, fra loro e ovviamente in relazione alla memoria.

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A me, aggiungo, hanno colpito molto le fotografie di Mutamenti, in particolar modo quelle delle radici o di quei paesaggi costruiti con stalattiti e stalagmiti, se non erro…

Mutamenti è un lavoro fatto con il cuore in un momento drammatico della mia vita, esposto a Castel Sant’Elmo in uno spazio un po’ circoscritto, uno spazio buio: le trenta foto relative al mondo animale, vegetale e minerale, dieci foto per ogni ciclo (alla nona foto non c’era una immagine ma un video, figure in movimento atte a dare appunto l’idea di cambiamento), legate alla nostra condizione terrena ovviamente c’è anche un gioco un po’ ambiguo sull’organicità e sulla confusione con l’invasione di elementi di un mondo in un altro mondo. Lavoro iniziato con la scoperta della malattia di mio padre, e che si è poi sviluppato nei brevissimi mesi successivi, mesi di grandi mutamenti. Durante la malattia di mio padre sono riuscita a concludere il percorso con molta facilità: per quanta sofferenza ci fosse mi ha colpito la facilità di produzione, una cosa molto strana… o si impazzisce di fronte a certi dolori oppure… l’arte aiuta tantissimo, è terapeutica.

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Cambiamo argomento, Aldilà un lavoro in cui la presenza femminile è predominante, un lavoro su donne fatto da una donna…

Aldilà è in pratica la mia visione della storia della Madonna. Si divide in una prima parte, che si chiama Gioia e in una seconda che si chiama Dolore. È un lavoro sulla maternità; e il legante che mette insieme le due parti è la storia di questo drappo scucito, che serve come coperta per il bambino, che poi è la stesso in cui la madre soffoca il suo urlo nel momento in cui perde il figlio. È la storia in chiave carnale della Madonna con rimandi a Pasolini e alla storia dell’arte. Il video tratto da questo lavoro è un omaggio alla storia dell’arte.

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L’esperienza del Premio Napoli l’anno scorso e quest’anno?

È qualcosa che va al di là della gratificazione. È stata ed è ancora un’esperienza di tale godimento da farmi sentire onorata. È un onore e una fortuna avere a che fare con gente che fa cultura a questi livelli. Mi sono trovata delle volte a tavola con tipologie di persone provenienti da più mondi: un circolo solidale che pensavo non esistesse più. Mettere attorno ad un tavolo le capacità per poterne discutere. Questo è per me l’esperienza fatta al Premio Napoli. Vorrei dirti tante altre cose, anche relative al piano personale ma non vorrei essere mielosa…

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Dimmene una…

Magari venisse preso il Premio Napoli come modello nel nostro paese, soprattutto con l’attuale presidente, il professor Gabriele Frasca. Potremmo guadagnarci non solo sulla cultura, ma a cascata su tutto il resto, sulla scuola, sull’istruzione, si spalmerebbe un mondo di valori che oggi si sta perdendo ma che in quel contesto viene difeso coi denti: è piacevolissimo avere contatti con gli stessi giurati, persone di grande spessore e cultura.

 

linkografia

http://www.monicabiancardi.it/

 http://www.premionapoli.it/monica-biancardi/