Un’opera fatta di schermi, multicolor come le Marilyn di Warhol, che proiettano in loop i fotogrammi “originali” della collisione dell’aereo di linea contro le Twin Towers. Nient’altro. Un’intera sala del MoMa di New York, un’intera parete coperta di schermi seriali che falsificano il più reale dei documenti che la storia ci abbia consegnato, un’enorme serie serigrafata di tutte le possibili colorazioni di quell’unico frame, del reperto probatorio.

La breve video-sequenza mostrata nelle prime ore di diretta mondiale, la virata e l’ingresso dell’aereo nel profilo delle torri, il fumo colorato, e virato dai turchesi agli aranci. Le due torri come le palme di Venice Beach. Su ognuno degli schermi appare nei colori a contrasto il ricordo di Marilyn, di Liz, appaiono i capelli dell’America, le labbra aperte al sorriso mentre l’aereo si schianta.

Jeff Koons - Illustrazione di Roberta Garzillo

Illustrazione di Roberta Garzillo

Nessun rumore nel video, solo la ripetizione costante della stessa sequenza ipnotica, bloccata fino all’impressione del fermo immagine. Il dato storico che si è fatto visione ed è venuto in mezzo a noi, negli schermi di tutti, incontrovertibile, più immediato dell’accadere dello schianto, e della collisione del volo, e del decollo di quel volo, e del volo stesso, a ritroso. Il frammento che è riuscito a fissare quel momento, la pura presenza in camera, ha avuto una consistenza documentale come mai prima, documento e prova non dell’accaduto ma dell’accadere, vivo e presente, in mezzo a noi. Quello stesso frammento viene riprodotto qui all’infinito, riproducibile al punto da falsificarsi. Jeff Koons ha forzato la più inammissibile delle pornografie e ha conquistato il MoMa. È stato digerito e accolto dagli Stati Uniti come sarebbe stato impensabile per qualunque altro artista. Immancabilmente si è parlato a lungo dell’inopportunità, e della ferocia, di un’opera del genere nei confronti delle vittime, delle loro famiglie, del dolore dell’America. Quasi in secondo piano, inosservata, è scivolata la messa in gioco della presunzione di verità della storia, l’ironia atroce che ha banalizzato anche l’icona inviolabile dell’evento, la testimonianza del male.
Il profilo nero della fusoliera che non ha lasciato fuoriuscire i nomi di nessuna compagnia di linea. Jeff Koons ha lavorato sulla nostra fiducia nel materiale visivo che ha fatto di quelle immagini documento, ne ha rovesciato i contrasti fotografici, ha alterato quello che era già un’alterazione innaturale, ipervisibile, più forte di quello che potrebbe essere accaduto. Ma l’enorme volumetria dell’opera, la massa sterminata di schermi, permettono all’istallazione di mantenere una forza imprevista, un impatto celebrativo, più oscuro e più inconvocabile della festa di colori che ci investe. Celebrazione della storia, festa e non denuncia della sua falsità, riconoscimento e opera di specchi, e di riconoscenza per il genio dell’America. Un omaggio implicito al talento di un video maker così abile e così invisibile, un omaggio ai volti, alle trame inosservabili, un omaggio alla storia che imita l’arte, e all’arte che sola ne riconosce l’intima fratellanza, l’abominevole complicità.

 

Disclaimer: quest’articolo fa parte della rubrica “Recensioni immaginarie” a cura di Emanuele Canzaniello, dove si narra di opere mai viste, top secret o immaginarie, il lettore si assume tutte le responsabilità di diffondere e/o condividere l’articolo.

A proposito dell'autore

Studioso di letterature comparate è autore di prose critiche su oggetti immaginari, dalle opere d’arte pubblicate in esclusiva per Racna alle recensioni di film mai esistiti apparse su «Le Parole e le Cose» e «Nazione Indiana». Del 2017 il suo primo libro di poesia Per l'odio che vi porto edito da Oédipus. Ha tradotto alcuni lavori di Harald Weinrich.