In esposizione fino al 30 giugno, alla Galleria Spazio Nea, la mostra Il Segreto nel silenzio, dell’artista turca Güler Ates, seconda proposta del ciclo curato dal critico d’arte e scrittore Massimo Sgroi.

Articolo di Marcello Francolini.

Dall’ingresso del lungo corridoio si è subito catturati da un fantasma dorato che si staglia da un fondo ombroso, sembra una presenza in una porzione di notte. Appena più vicino lo sfondo si concretizza in una biblioteca antica. Presto altre presenze si mostrano e altri luoghi appaiono, tutto avviene tra le fotografie disposte nella sala. Esseri colorati colti nell’attraversamento di un luogo evocativo. Dico “luogo” in senso generico senza rimando ad un posto specifico, giacché ogni scena è ripresa dall’interno. Un interno ovunque! L’ovunque è riferito all’assenza di una disposizione geografica. Potremmo allora, chiamare questo luogo un oltre lo spazio o fuori di esso. Ora questa impossibilità di localizzarlo lo rende forse inabitabile per un corpo di carne, ma nello stesso momento lo figura come luogo perpetuo dov’è il tempo dell’uomo, la sua memoria ad abitarlo. Luoghi della memoria appunto. Ma ciò che rende luoghi della memoria in maggior peso è proprio quell’apparizione della sostanza umana che qualifica e dà senso a quegli spazi che, colti in una prospettiva ravvicinata, disciolgono i confini della loro identità, per aprirsi direttamente al mondo, assumendo un valore di architettura universale. Così queste composizioni di Guler Ates sono in continuità con quelle esperienze artistiche, in cui la ricerca dell’originalità non è solo problema estetico. ma dello “spirito” che rende nuove tutte le cose.

Güler Ates
Cosa sono queste fotografie, domando a Massimo Sgroi?

“Potremmo, in prima istanza, credere di essere di fronte a un residuo d’azione. Mi spiego, essendo che l’artista lavora con la performance, queste foto potrebbero aver colto dei momenti in cui il performer attraversa quei luoghi. Ma a uno sguardo attento possiamo notare una precisa messa a fuoco sul soggetto, la luce sembra diramarsi sempre a partire da quelle stoffe che per l’ alta definizione dell’obbiettivo permette di leggerne la più sottile tramatura. Forse il tutto è frutto di una posa ben articolata, le angolazioni prospettiche, il taglio, il contrasto, la saturazione.”

C’è del corpo lì sotto? Benché il contorno lasci intravedere una forma umana, non è la corporeità l’essenza di queste figure, quanto più ciò che definirei l’essere, o meglio l’anima.

Tutto quello che sfugge alla visione vive, in ogni caso, in un luogo dove le anime si perdono e si ritrovano in un profondo processo di sintesi, una dimensione in cui ciò che appartiene alla percezione immateriale finisce per avere un profondo legame con ciò che gli è familiare: le altre anime. Che siano mondo inconoscibile, per usare la terminologia platonica o l’inconscio collettivo della psicanalisi junghiana, non è poi così importante: esistono le anime ed esiste l’idea “assoluta” dell’anima, l’anima del mondo“. Queste figure di Guler Ates, continua Sgroi, “vivono l’alterità dello specchio laddove la tipologia dell’immagine fotografica sovrappone ciò che è vicino a ciò che è lontano, l’interno e l’esterno, l’oggetto della visione ed il soggetto fino a proiettare queste contiguità all’interno della nostra stessa mente”.

 

image3

Da qui si rende esplicita allora, una certa volontà dell’artista, di cogliere la visibilità dell’invisibile. Cercherò di spiegarmi meglio su questo concetto che credo sia poi la chiave che meglio apre alla lettura di queste opere.
Potremmo definirle come un magnifico neo-bizantinismo:

“L’impersonalità dei corpi accentuata dai veli che ne coprono i contorni ha la stessa funzione delle antiche icone: indurre allo spirito interiore. Sono nuove icone ieratiche. L’antico senso dell’assoluto dato attraverso la luce dell’oro è qui sostituita dalle architetture colte nel particolare, che perdono la propria evidenza strutturale, si danno come pura decorazione. È possibile che qui, il bacino culturale da cui l’artista ha attinto, sia collegato con la propria sfera d’appartenenza, cioè quella tendenzialmente consunstanziale dell’arte islamica. Allora qui la dimensione astratta non è solo esercizio di forma, in questa forma coincide significato e significante, sono immagini assolute entro cui trovare una via possibile del mistero, della rivelazione.”

In ultimo, scavando nella biografia dell’artista scopriamo che la sua pratica è quella della dislocazione culturale in aree che fondono sensibilità orientali e occidentali. Allora che sia proprio per via dell’arte bizantina che l’artista trova quella zona liminale in cui sia possibile il dialogo tra due modi di vedere il mondo che proprio oggi, nell’immediato, rischiano una nuova collisione? In quella corporeità incorporea che è l’icona, l’artista pone la nuova donna islamica come energia capace di visibilizzare l’invisibile, di ri-definire quel definito sempre ancora definibile.

info artista

Güler Ates lavora con video, fotografia, incisione (printmaking) e performance.
Alla base della sua ricerca c’è l’esplorazione dell’esperienza della “dislocazione culturale”.
Le manifestazioni del suo lavoro sono realizzate attraverso performance e attività “adattive” (site-responsive) in aree che fondono sensibilità orientali ed occidentali.
I siti architettonici in cui lavora appartengono solitamente ad un’epoca specifica con particolari collegamenti con il colonialismo (ora post-colonialismo) e l'”Oriente”.
Ha condotto ricerche sulla storia di questi siti che le hanno fornito informazioni sull’origine del tessuto che diventerà poi il costume o il velo da far indossare al suo performer. Essendo parte della performance, il soggetto narra una vicenda disegnata dalla storia del sito, esplorando il suo sentimento di dualismo culturale.
Usa il paragone storico per evidenziare questioni politiche e sociali, specialmente quelle riguardanti il velo e politiche di genere.

Ha precedentemente realizzato i suoi progetti nei seguenti scenari: Victoria & Albert Museum, London; Cité Internationale Des Arts, Paris; Leighton House Museum, London; Great Fosters (vecchio casino di caccia
reale del re Enrico VIII), Egham; Royal Academy of Arts, London; e City Palace, Udaipur, Rio de Janeiro.
Attualmente ha una residenza artistica all’ Eton College.

info mostra

Güler Ates
Il Segreto nel silenzio

Galleria Spazio Nea
via costantinopoli 53 – 80138 napoli

tutti i giorni dalle 9,00 a sera
ingresso gratuito.

 

A proposito dell'autore

Redazione
Google+

RACNA è una rivista sull'arte e i linguaggi della contemporaneità. Offre un affresco godibile e avvincente sull’arte contemporanea, e si propone come strumento di promozione e condivisione tra operatori e utenti. RACNA Magazine promuove iniziative volte alla valorizzazione dei giovani artisti e alla creazione di una rete sulla base di interessi comuni.