Miguel Osuna è un artista messicano che attualmente vive negli Stati Uniti, a Los Angeles. Folgorato dall’incontro con la città di Napoli ha deciso di fermarsi qui due mesi per una residenza artistisca, promossa dall’Isitituzione Internazionale Art1307, durante i quali ha dato vita a Continuum. Il progetto sarà in mostra con la cura di Cynthia Penna dal 16 maggio all’11 giugno presso Villa di Donato.

Articolo di Carla Giannini

Traendo ispirazione da Napoli e dalla sua storia, Miguel Osuna ha prodotto numerose opere che rendono omaggio alle bellezze artistiche della città. Fra queste, The longest time – ispirata alle Sette Opere di Misericordia di Caravaggio di cui riprende la figura della donna, centrale nell’opera del Merisi , in chiave ultracontemporanea –  è stata donata dall’artista al Pio Monte della Misericordia il 5 maggio con una cerimonia ufficiale.

Miguel Osuna

Abbiamo intervistato Miguel Osuna per indagare in che modo la città di Napoli ha influito sul suo percorso e su quanto il dialogo con Caravaggio abbia modificato il suo modo di lavorare.
Tu vivi negli Stati Uniti, ma hai origini messicane. Che cosa c’è in comune tra questi tuoi due luoghi di origine e la città che adesso hai scelto, Napoli?

 La cultura italiana è differente dalla cultura di altri paesi, e naturalmente è diversa anche da quella messicana, però ci sono similitudini in termini di sensibilità, di carattere. Ci sono tre cose molto importanti per me: l’aspetto fisico del luogo, in questo caso un porto. Poi la gente, che a Napoli è molto accogliente, e questo è il motivo per cui quando sono qui mi sento a casa. E per finire il Barocco. Furono gli Spagnoli, con la conquista del Messico, a portarvi, fra l’altro, anche l’arte Barocca, ed è per questo che quando sono arrivato qui ho pensato “è da qui che vengono le cose che ho visto nella mia infanzia”. Questa è un’altra ragione per cui a napoli mi sento a casa.

Come è iniziato il tuo percorso artistico e come sei giunto all’uso della calligrafia?

Ho cominciato a dipingere quando avevo otto anni. Una delle mie zie era pittrice, lei mi introdusse alle basi della pittura. Ho proseguito studiando per conto mio, mi sono dedicato all’architettura, senza mai tralasciare disegno e dipinti. Finito il mio percorso di studi ho lavorato come architetto per dieci anni, al tempo non si usavano ancora i computer, e lavoravo con gli stessi strumenti che si usano per disegnare: matite, righelli. I miei bozzetti a mano libera riscuotevano molto successo. Utilizzavo strumenti umili come il pennello e la penna stilografica, strumenti che continuo ad utilizzare nel mio lavoro attuale.

Quindi è molto importante il tuo essere un architetto per la realizzazione delle tue opere?

Sì molto, e non è una cosa volontaria, è istintiva. Spesso le persone vedono i miei lavori pittorici e mi chiedono “tu sei architetto”? Ci vedono dentro una progettualità, una geometria pianificata in maniera coerente, perché in ciò che faccio tutto deve essere molto ordinato. E penso che questo derivi dal mio essere architetto.

La gestualità è molto importante nel tuo lavoro, ed è fondamentale nel concetto di continuità su cui si basa il progetto Continuum. Quanto c’è del tuo rapporto con la realtà nel tuo modo di rapportarti alla tela?

Per iniziare, la calligrafia e il gesto sono molto importanti, io intendo il mio lavoro come qualcosa che mi serve per comunicare, l’ingrediente che intendo comunicare è l’emozione. In Continuum ho eliminato tutto quello che c’è di semantico, tentando di relazionare il messaggio emotivo direttamente con la mano, senza passare per il filtro del linguaggio. La linea continua è un’altra caratteristica che nasce dai miei studi di architettura. Quando fai un disegno a mano libera e tracci una linea è molto importante controllare la respirazione, se non lo fai tutto il corpo si muove, si trasmette nel gesto, e questo si vede nella linea. Per esempio, io ho sempre una autentica ossessione nel marcare una linea in cui non si vedono gli estremi. Può essere un’idea strana, ma credo che, al non vedere il finale della curva o degli estremi, la visione si espanda. A me interessa che le mie opere facciano parte di qualcosa che sia più grande. Spesso mi hanno detto “ tu sei un paesaggista perché stai dipingendo paesaggi interiori”.
Quando dipingi un paesaggio si capisce che questo è parte di un qualcosa che è infinito. Il paesaggio, l’orizzonte, gli alberi: sebbene nei miei lavori non si riconoscano, io dipingo cose che sembrano reali perché c’è la posizione, c’è la curva, la profondità. Sembrano fare parte di un’altra realtà, strana e attraente allo stesso tempo. Quindi c’è qualcosa di reale in questo, ma non il reale che conosciamo.

Attraverso l’arte ritroviamo uno spazio intimo, lontano dal caos, dal rumore assordante della società contemporanea. Quanto è importante per te la creazione di questo microcosmo intimo e la partecipazione attiva di colui che guarda l’opera?

La mia speranza è che l’osservatore veda l’opera e la esplori, e che questo sentimento si trasmetta. La gente vede l’opera e mi dice “come l’hai realizzata?” oppure “quest’opera mi trasmette serenità, o angoscia” quando succede significa che la persona ha captato qualcosa. È molto interessante vedere come quello che per me è un sentimento intimo viene ripreso dagli osservatori e trasformato secondo il loro stato d’animo. Mi immagino come un imbuto dove c’è una massa di sentimenti, di pensieri, comunicanti tra loro. Mi sono reso conto che il più delle volte le interpretazioni del pubblico sono abbastanza vicine a quello che voglio trasmettere.

I colori delle tue opere sembrano richiamare quelli che hai incontrato nella città e che ti hanno colpito…

Sì, anche se non ci sono corrispondenze cromatiche dirette, se non l’idea del “rosso pompeiano”, certi azzurri che ho visto nelle onde del mare, oppure cose quotidiane, come il colore del cioccolato. La definizione della tavolozza è molto importante per me insieme alla padronanza del gesto.

Nella creazione dell’opera “The longest time” , donata al Pio Monte della Misericordia, ti sei ispirato alla figura della donna posizionata al centro nel quadro del Caravaggio, rappresentandola attraverso la tua visione ultra contemporanea. Come si è instaurato il dialogo con il maestro, e come è cambiata la tua gestualità, il tuo modo di lavorare, rapportandoti alla sua opera?

Solitamente cerco di introdurre un sentimento libero, di spontaneità alle mie opere. Nel caso di “The longest time” essendo un omaggio a Caravaggio, si è trattato quasi di una commissione, dove c’è l’aspettativa di una relazione. Mi sono soffermato sul personaggio femminile al centro dell’opera, perché nella narrativa del quadro, la figura di questa donna è molto importante, e penso che anche graficamente il maestro le diede più importanza delle altre figure. I colori dominanti in tale figura femminile sono stati determinati per definire i cromatismi del mio lavoro (colore oro/sabbia, ndr.). L’omaggio a questo colore e la sua ricerca ha definito la mia tavolozza. Mi sono recato spesso alla Cappella del Pio Monte della Misericordia, cercando in tutti i modi di scacciare via il timore reverenziale che mi pervadeva nel relazionarmi al Caravaggio. Ho cercato di familiarizzare con il dipinto, con il tipo di movimento che vedevo, con i personaggi, con la narrativa di chi sta guardando.

Cosa ti rimarrà di questo incontro con Caravaggio?

Ho conosciuto le opere di Caravaggio molti anni fa, come semplice studioso e amante dell’arte, prima ancora di pensare alla possibilità di rendere omaggio a una sua opera. Quello che mi appassiona della sua figura è il fatto che fosse un ribelle, il suo modo di dipingere era unico e mai visto prima di allora, divenne tanto famoso per le caratteristiche tecniche dei suoi dipinti, la modalità di lavoro che ha introdotto. Mi è rimasta la sua visione irriverente nei confronti delle convenzioni della pittura locale e contemporanea della sua epoca, unita però al rispetto della tecnica e alla dedizione al lavoro.

info mostra

Miguel Osuna – Continuum
a cura di Cynthia Penna
opening: mercoledì 16 maggio 2018, ore 19-21
Dal 16 Maggio all’11 Giugno 2018 (su appuntamento)
promossa da Istituzione Culturale Art1307
con il Patrocinio di U. S. Consulate General Naples
Villa di Donato – Piazza S. Eframo Vecchio, Napoli
info e contatti: mail.segreteria@art1307.com / ph. 0039/081660216