Sabato scorso, nel contesto della rassegna Materie1, organizzata da Fornace Falcone, presso l’Outlet Cilento di Eboli, è stata inaugurata, a cura di Valerio Dehò, la mostra Astrazione Modulare di Paolo Bini. Per l’occasione il giovane artista di Battipaglia ha presentato una parte dei suoi paintings on tape, frutto di una ricerca, avviata durante il soggiorno in Sudafrica, con la quale, come avverte lo stesso Dehò, Bini spinge ancora di più la sua esperienza verso un processo di astrazione, verso un processo di liberazione dell’immagine «dagli eccessi di elementi figurali dai colori invadenti, dagli affollamenti e dalle sovrapposizioni simboliche».

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In questo senso Bini, guardando alla lezione di Richter, si produce «in una tecnica propria, originale che consiste – sottolinea il curatore – nel dipingere delle strisce di carta gommata e poi applicarle sulla tela. In questo modo, il dipinto è un già dipinto, l’artista assembla le proprie strisce in sequenze modulari che non sono prestabilite. Il processo diventa fondamentale, perché non si tratta di distribuire la materia cromatica su una superficie unitaria, ma sono i moduli a diventare superficie. In questo modo resta anche nell’opera finale l’originalità dell’origine. Si accentua il movimento, la sinergia delle linee, le rarefazioni e gli addensamenti del colore. L’immagine destrutturata viene ricomposta non solo in una possibile serialità stocastica, ma in una perdita di peso, come un pensiero o un ricordo. Mentre in altri artisti la forma è un’idea schematica – un principio d’ordine alla cui base vi sono invece degli elementi – in Paolo Bini prevale il senso della costruzione, posto sullo stesso piano della gestualità del dipingere».

Paolo Bini - Per Laura

Paolo Bini – Per Laura

Per l’occasione rileggiamo una intervista rilasciata dall’artista a Pasquale Ruocco, pubblicata nel libro Paolo Bini. Brink of the Ocean, a cura di Massimo Bignardi e pubblicato nel 2014 da Gutenberg Edizioni.
Il reportage fotografico è di Carlo Ferrara

La pittura resta un nodo dello sguardo
Dialogo con l’artista di Pasquale Ruocco

Pasquale Ruocco – «Viaggiare – suggerisce Luis Sepùlveda – è camminare verso l’orizzonte, incontrare l’altro, conoscere, scoprire e tornare più ricchi di quando si era iniziato il cammino».
È innegabile che il viaggio, soprattutto negli ultimi anni, segni importanti tappe nel tuo percorso professionale e creativo: la Grecia, paese a te particolarmente caro; Cuba, dove sei stato invitato per la “XIII Settimana della cultura italiana; Belgrado e più di recente Cape Town in Sud Africa, dove sei stato ospitato per una residenza d’artista.

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Quale valore assume per te il viaggio? In particolare: qual è il tipo di relazione si è instaurata tra la tua pittura e i luoghi che hai incontrato e vissuto?

 

L’occasione di aver conosciuto alcuni luoghi, in particolare questi da te ricordati, di averci lavorato per brevi e medi periodi, è una qualità aggiunta che il mio sguardo ha assunto negli ultimi anni.
Sembra quasi scontato sostenere che per un artista viaggiare è cosa “buona e giusta”, ma effettivamente è proprio così! Per quel che mi riguarda, viaggiare è fondamentale per un artista che ambisce comunicare rivolgendosi al ‘molteplice’
L’immagine è per eccellenza punto d’incontro, forse perfino più dei numeri, e per poter parlare al mondo è necessario conoscerlo, quantomeno imparare col tempo a riconoscere l’odore dei posti. In altre parole si tratta di trasformare i luoghi visti spesso in maniera sommaria, attraverso riviste, tv, siti web, in luoghi sentiti, vissuti.
Si tratta per certi aspetti dello stesso processo conoscitivo che mettiamo in moto quando smontiamo un oggetto per conoscerne l’interno, com’è fatto, con quali parti è stato montato, eccetera. In questo senso mi sembra di poter avvicinare il sentire emotivo dell’espressionismo all’analisi cubista dello spazio, per poter meglio indagare la natura dei luoghi, per poter meglio accordare il mio lavoro al contesto che vivo, per poter in qualche modo “incontrare” il nuovo ancora attraverso la pittura e il paesaggio.

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Torniamo al Sud Africa. Credo che, rispetto ad altri paesi che hai visitato, si sia trattato di un contesto completamente diverso, non solo per la cultura, per la gente, per le tradizioni, ma anche per l’ambiente, per la natura, per il paesaggio.
Avrai sicuramente affrontato un’idea diversa di cielo, di luce, di notte, di tramonto, soprattutto avrai confrontato una nuova idea di orizzonte, tema centrale della tua ricerca pittorica, specialmente degli ultimi anni. Ti va di parlarne?

L’ Africa mi ha stravolto la vita, in positivo ovviamente. La ritengo un’esperienza formativa che nel tempo di permanenza mi ha dato qualcosa in più. L’occasione di questa residenza d’artista ha definitivamente slacciato i confini con il lavoro precedente in cui mi preoccupavo necessariamente di una percezione spaziale. Cape Town mi ha concesso una sorta di sconfinamento metafisico e credo, o quantomeno mi auguro, di essere andato oltre e avere ottenuto un’immagine ancor più sgombra da influenze esterne. L’orizzonte del quale tu parli non è sempre visibile a Città del Capo: una città internazionale in cui non viene data possibilità allo sguardo di estendersi a piacere. Molto più suggestivo è stato il soggiorno nel deserto del Kalahari, situato a nord del Paese, ai confini geografici della Namibia e del Botswana: lì l’orizzonte è infinito, una linea interminabile dove la luce si accende su di uno sterminato boccascena. Questo è forse impresso nelle mie ultime forme tonde e nel tape libero.

 

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Nel 1973 Gerard Richter affermò che per «fare pittura, si deve credere in ciò che si fa, ci si deve impegnare interiormente. Quando questa diventa un’ossessione, si arriva al punto di credere di poter cambiare gli esseri umani attraverso la pittura. Ma se non si hanno impegno e passione, non c’è proprio nulla da fare, ed è meglio allora lasciar perdere. La pittura è quindi in pratica idiozia totale.»
Quando affermi che la tua ricerca ambisce a costruire un linguaggio aperto alla comunicazione credi che questo equivalga alla possibilità di cambiare gli esseri umani attraverso la pittura?

Penso che per svolgere questo lavoro bisogna avere una grande ambizione, effettivamente Richter è Richter proprio perché ha rincorso questa sua idea con una convinzione tale da rendergli possibile l’invenzione di una “nuova” immagine. L’arte è senza dubbio il primo settore dove investire, credo che soltanto fornendo bellezza alla società quest’ultima potrà rinascere.

Prendi come esempio le opere d’arte contemporanea nella metropolitana di Napoli – opere eccezionali per bellezza ed importanza – il loro studio è stato fatto, da noti artisti, in relazione allo specifico spazio underground. Oggi le opere non presentano danni, manomissioni o atti di vandalismo, questo probabilmente perché quel tipo di bellezza genera rispetto!

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Stringendo l’attenzione sul tuo lavoro mi piacerebbe conoscere le motivazioni che spingono un artista giovane come te, consapevole di appartenere alla cosiddetta generazione digitale o “2.0”, con a disposizione una varietà di mezzi e linguaggi senza precedenti, a scegliere con così tanta convinzione di confrontarsi con un linguaggio antico e profondamente stratificato come quello della pittura.

Penso che la necessità d’espressione non sia mai dettata da quello di cui disponi oppure da ciò che si ritiene semplicemente innovativo.
Credo che un pittore sia un pittore perché sedotto dalla pittura stessa. A tal proposito ricordo con gioia quando da ragazzino visitavo, con i miei, le chiese dell’Umbria – mi è rimasta particolarmente impressa la Basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi – dove ho avuto la possibilità di ammirare grandi e splendidi affreschi. In quelle gite nell’Italia centrale affascinato da quelle grandi pitture, sono stato certamente sedotto senza scampo dal fascino dei colori. Ricordo ancora la magnifica brillantezza degli azzurri.
Oggi scelgo ancora la pittura perché prediligo studiarla a fondo e fare ricerca attraverso di essa.

 

Guardando il panorama della pittura contemporanea – dal già citato Richter ad Anselm Kiefer, da Sigmar Polke a Cecily Brown, a Lawrence Carrol – mi sembra di poter riconoscere un comune scavare interiore, una riflessione sulle materie del sensibile e del visibile mosse in primo luogo dall’evolvere del concetto d’immagine, sempre più condizionata dai tempi velocissimi del web, destinata a un consumo vorace e acritico.
Si tratta di una prospettiva verso la quale, credo, si stia rivolgendo anche il tuo lavoro.
Da Archivio Greco alla serie Place, da Lefkada fino ai più recenti Grande Rosso e Nuvole di Stellenbosch realizzati a Cape Town, sembra che la tua attenzione si sia progressivamente spostata dalla preoccupazione di organizzare l’immagine a livello spaziale, di dargli cioè una profondità, a una più specifica riflessione sul formarsi dell’immagine, sui suoi tempi e modi specifici di produzione. Intendo dire che le opere più recenti testimoniano una tua maggiore aderenza al ritmo della contemporaneità in cui l’immagine si forma secondo l’unità del pixel e il tempo scandito dallo scanner o dal plotter, secondo un succedersi di strisce colorate che diventano, nel tuo caso, traccia di nuovi percorsi interiori.
Puoi parlare di come il tuo lavoro, anche sul piano specifico delle pratiche e delle tecniche, si sia trasformato? E dove questi nuovi percorsi ti stiano portando?

Misurarmi con lo spazio, con la sua identità, innanzi tutto mentale, sai bene, è sempre stata una delle mie maggiori preoccupazioni. Sin dai primi lavori ho stabilito un equilibrio spaziale che pian piano si è sempre più modellato fino ad arrivare, con la serie delle opere dedicate alla Grecia, a un colore impalpabile.

Questa esperienza, in precedenza contraddistinta da un maggiore rigore geometrico, è oggi alla base del mio modus operandi anche se alle volte – mi riferisco alle opere tonde – l’idea prospettica si annulla definitivamente.
È cambiato, invece, soprattutto il supporto: la carta, sin dall’inizio, è stata una materia a me congeniale, tuttavia a un certo punto ho avvertito la sensazione di aver stretto troppo il raggio di azione, di essermi autonomamente precluso delle strade. Ora grazie all’utilizzo del tape, cioè dello scotch carta, certe strade sono diventate nuovamente praticabili e se ne sono aperte di nuove.
Ora sono convinto di potermi muovere con maggiore disinvoltura anche rispetto alla spazio, all’ambiente in cui l’immagine prende corpo. Per certi aspetti sento di poter ragionare come gli autori di quegli affreschi di cui ti parlavo prima.
Proprio a Cape Town ho avuto modo di sviluppare tre dipinti di grande formato, in stretta sintonia con lo spazio lavorando direttamente sulle pareti della galleria: applicando centinaia di strisce in tape parallele direttamente sull’intonaco, sono nati Grande rosso e Senza titolo, così anche Nuvole sulla strada per Stellenbosch, in particolare quest’ultimo, sviluppato in senso orizzontale, ‘modellato’ su una parete curva, mi ha consentito maggior dialogo con l’architettura.
Penso che ancora oggi sia quanto mai possibile ed attuale ragionare la pittura in forma architettonica e ambientale.

 

bio dell’artista

Paolo Bini è nato a Battipaglia, Salerno, Italia (1984).
Selezione Mostre Personali
2015 Paolo Bini. Astrazione modulare, a cura di Valerio Dehò, Fornace Falcone, Spazio Esposizioni, Eboli (Sa); 2014 Paintings on tape, Casa Turese, Vitulano (BN) a cura di Massimo Bignardi; Contaminazioni (con D. Blaecher) Galleria Nicola Pedana, Caserta a cura di Enzo Battarra; Altri viaggi, Museo Casa Ariosto, Ferrara a cura di Maria Letizia Paiato. 2013 Paolo Bini, Provenance House, Cape Town, South Africa, in associazione con SMAC gallery e Centro Di Sarro a cura di Alessandra Atti Di Sarro; Colour absence in suspense, Università degli Studi di Siena a cura di Martino Cappai; Kalodiki, Cerruti arte, Genova a cura di Claudia Gennari. 2012 Un viaggio nell’immaginario pittorico, Centro Grafico, Foggia a cura di Claudia Gennari. 2011 Un proyecto especìfìco, Centro Luigi Di Sarro, Roma a cura di Alessandra Atti Di Sarro (cat.). 2010 Un proyecto especìfico, (con C. Biocca) Convento S. Francesco, L’Avana, Cuba a cura di Alessandra Atti Di Sarro (cat.); Solstizio d’estate, Cerruti arte, Genova a cura di Massimo Bignardi (cat.); Colour absence, in suspense, Museo di Palazzo Bianco, Genova a cura di Massimo Bignardi (cat.). 2009 Paolo Bini. Opere recenti, Galleria Gallerati, Roma a cura di Massimo Bignardi (cat.); Paolo Bini. Opere recenti, Memoli arte contemporanea, Milano a cura di Massimo Bignardi (cat.); Paolo Bini. Dipinti di un anno, Galleria Il Catalogo, Salerno a cura di Massimo Bignardi (cat.); Paolo Bini, Centro Luigi Di Sarro, Roma a cura di Massimo Bignardi (cat.). 2008 Risonanze dell’immaginario, Teatro Moderno, Grosseto a cura di Claudia Gennari. 2008 Paolo Bini Casellari della memoria, Palazzo San Galgano, Università degli Studi, Siena. 2006 Dipinti, FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, Salerno a cura di Massimo Bignardi. 2005 Dipinti, Galleria Selezioni d’Arte, Salerno a cura di Massimo Bignardi. 2004 In primavera fiorisce … la mia natura viva, Spazio Marini, Battipaglia.
Selezione Mostre Collettive e Premi
2015 Empire, Everard Read Gallery, Cape Town, Sudafrica; Cape Town Art Fair, con Everard read Gallery, Cape Town, Sudafrica; Prima Pagina Art Prize, Gallery Hall, Arte Fiera, Bologna a cura di Valerio Dehò; Arte Fiera con Nicola Pedana, Bologna, SETUP Art Fair, con Yoruba::diffusione arte contemporanea, Autostazione, Bologna a cura di Simona Gavioli e Alice Zannoni. 2014 ShowYourself@madre, Museo MADRE, Napoli; Approdi, Premio Griffin, Fabbrica del Vapore, a cura di Ivan Quaroni, Milano; Palazzo Mezzacapo, Maiori (Sa) a cura di Marco Alfano; Premio Zingarelli, Rocca delle Macìe, Castellina in Chianti (SI) a cura di Simona Gavioli; Centro d’Arte Marche, San Benedetto del Tronto (AP) a cura di Maria Letizia Paiato; MIART 2014, con Poleschi Arte, fieramilanocity, Milano; SETUP Art Fair, con Yoruba::diffusione arte contemporanea, Autostazione, Bologna a cura di Simona Gavioli e Alice Zannoni. 2013 Opere dalla Collezione Permanente, Museo FRAC, Baronissi (SA) a cura di Pasquale Ruocco; Alchimia di parole, Castello di Amendolara (CS) a cura di Ombretta Gazzola e Teo De Palma; Abstract artists, CerrutiArte, Santa Margherita Ligure (GE); Vedere parole Libri d’artista, Ex Convento di S. Bernardino, Rossano Calabro (CS); Disordine Lineare, La Vedetta, Giovinazzo (Ba); Verticalità, Museo-CAMeC, La Spezia a cura di Walter Vallini. 2012 Alchimie du Verbe, Biblioteca “A. Minuziano”, San Severo (Fg) a cura di Teo De Palma; Verticalità, Sala Dogana, Genova a cura di Walter Vallini; Artisti e galleristi per Don Gallo, Palazzo della Regione Liguria, Genova; Premio Murano, Scuola Grande della Misericordia, Venezia; Green Dreams, Tempio di Pomona, Salerno a cura di Massimo Bignardi; Artisti contemporanei italiani, Sala Pietro Palazzo, Comiso (Rg); InterRail. Viaggio nell’immagine, Centro d’arte contemporanea Art’s Events, Torrecuso (Bn) a cura di Tommaso De Maria; Arte Accessibile, IV Edizione, Eventiquattro Gruppo Sole 24 ore, Milano a cura di Ivan Quaroni e Chiara Canali; 2011 54° Biennale di Venezia, Ex Tabacchificio Centola, Padiglione Italia, Regione Campania, Pontecagnano Faiano (Sa) a cura di Vittorio Sgarbi; 2007 Echi temporanei, Fondo Regionale d’Arte Contemporanea, a cura di Marcella Ferro, Baronissi (Sa).

A proposito dell'autore

Collaboratore

Diplomato nel 2015 presso la Scuola di Specializzazione in Beni Storico Artistici dell'Università di Siena, ha allestito diverse mostre, dedicandole, in particolare agli artisti emergenti del territorio campano, tra queste : “La Défense. Priorità del tempo, necessità dello spazio” (2009); “ Sguardi irrequieti. Nuove tracce del contemporaneo” (2009); Mascherata. 6 Ceramisti emergenti” (2010), “InterRail – Un viaggio nell'immagine” (2012) “Green Dreams” (2012). Tra il 2010 e il 2011 ha curato la rassegna “Aperto” a Minori in Costiera Amalfitana; ha collaborato all’organizzazione di “Immaginare la città” (2012) e di “Videa. Rassegna di video arte al femminile (2008, 2009). Ha collaborato alla realizzazione della prima edizione di “Paleocontemporanea” (2014) e coordinato il primo ciclo di “Arte e Linguaggi”, patrocinato dal Premio Napoli (2015). Collabora con il Museo F.R.A.C. di Baronissi (Sa). Scrive per «geaArt. Periodico di cultura, arti visive, spettacolo e nuove tecnologie creative» e «Sofà. Quadrimestrale dei sensi nell’arte».