Recensione della personale di Stefan Anton Reck al PAN, o del ritorno del Gesamtkunstwerk nel XXI secolo.

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Non credo che sia facile essere Stefan Anton Reck: bisogna unire a una vasta e profonda preparazione culturale, delle enormi capacità d’immaginazione. Per chi non lo conoscesse, Reck è tra i più stimati direttori d’orchestra europei viventi. Nato a Baden Baden, ha lavorato con Leonard Bernstein e si è segnalato come profondo conoscitore della Seconda Scuola di Vienna (Arnold Schönberg, ma soprattutto dei suoi “parricidi”, Alban Berg e Anton Webern), per aver magistralmente interpretato sulla fine degli anni ’90 le opere di Wagner e di Mahler, infine per essere stato l’assistente di Claudio Abbado.

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Tutto ciò è premessa fondamentale per comprendere l’ispirazione pittorica di Stefan Anton Reck. Avete letto bene: Reck è anche un pregevole, attento e raffinato pittore che, però, solo negli anni più recenti si è sentito di esporre al grande pubblico le sue tele. Non immaginatevi adesso un uomo polivalente che, tornato a casa dopo aver smesso i panni del direttore d’orchestra, indossa l’habitus mentale del pittore e si occupa di prospettiva, trompe l’oeil e chiaroscuri. In effetti, Reck fa sempre la stessa cosa, che abbia una bacchetta o un pennello in mano: dirige un’orchestra.

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Andando a visitare la mostra, ideata da Marcello Palminteri e curata da Francesco Gallo Mazzeo negli spazi luminosi e mai affastellati del PAN, con la collaborazione di Spazio NEA, si potrebbe avere l’impressione che Reck abbia realizzato dei quadri astratti, ispirandosi ad alcune delle maggiori opere musicali del Novecento. In realtà, Reck le ha “ritratte”. L’esempio più evidente è dato, a mio avviso, dalla tela Béla Bartòk. Fanfare. Abbiamo in quest’opera lo sfondo di un giallo acido, squillante e inquieto, su cui si impostano per contrasto delle vorticose linee blu scuro che si aprono in volute ampie e vigorose, alcuni cerchi concentrici ricreano vagamente l’idea del padiglione del trombone. Ascoltando l’opera originale del compositore ungherese, il Concerto per orchestra del 1943, si ha la percezione netta del senso della tela di Reck. Lo sfondo giallo è la trasposizione precisa della generale atmosfera di ansia, tensione e inquietudine che pervade l’opera di Bartòk, ormai ammalato e avviato verso la morte. Il blu delle volute rende la severità dei timbri sonori e le ampie circonvoluzioni ne traspongono i ritmi veloci.

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Compreso questo rapporto, tutto diventa meravigliosamente chiaro: il trittico di Das Lied von der Erde (sono numerosi i trittici, per il rispetto sacrale del musicista che immortala i capolavori della musica classica come le tradizionali pale d’altare) rappresenta al meglio i sei movimenti, accoppiandoli, dell’omonima opera di Gustav Mahler, coi suoi toni bruni e le linee sia aspre e spezzate che morbide e rotonde.

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Le eleganti 12 Variazioni, cui i curatori hanno intelligentemente dedicato una sala a parte con un’illuminazione un po’ più bassa, sono l’eccellente trasfigurazione grafica delle Variazioni composte da Pierre Boulez: i segni grafici, tutto sommato esigui, rendono il minimalismo delle composizioni, mentre l’alternanza tra blu scuri e azzurri traducono i forti contrasti “cromatici” dell’opera di Boulez. Nulla è disposto a caso. Ma Reck non si è divertito col solo repertorio sinfonico del Novecento: il languido e sereno Ilahinoor è la sua riflessione pittorica di una pratica di meditazione indiana ispirata alle discipline sufi, la Tokio Trilogie è un reale omaggio ai romanzi di David Peace.

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Reck ha avuto anche la brillante idea di rappresentare la sensualità della musica leggera attraversa la tecnica dell’action painting, evidente nel trittico bruno in onore della pop music di Michael Jackson e nella grandiosa tela Éclat II, ispirata a un album di musica progressive francese, in cui il grande spruzzo di colore bianco al centro della tela evoca gli a solo della chitarra elettrica e gli effetti sonori del mellotron.

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Il vernissage si è chiuso con un aperitivo in terrazza e con l’esecuzione del brano Segni per tromba, dedicato all’esposizione dall’assente compositore Marco Betta, introdotto da una preziosa apologia all’unità delle arti da parte di una : forse un preludio al concerto che Reck dirigerà al Teatro San Carlo di Napoli il 10 ottobre. La Gesamtkunstwerk di Wagner è viva e lotta con noi.

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Foto a cura di Alessandra Troiano