A Palazzo Bembo, Venezia,  il tempo si ferma per far parlare lo spazio: Time Space Existence, evento collaterale della Biennale Architettura, riunisce più di 100 architetti provenienti da sei continenti, per riflettere sui concetti di tempo, spazio e esistenza nella nostra vita quotidiana. La mostra vuole essere un’occasione per ampliare la consapevolezza sulla relazione con lo spazio e il tempo che ognuno di noi abita; in particolare si rivolge agli architetti, responsabili dell’impatto che le loro opere hanno sulle persone, sugli altri esseri viventi e sull’ambiente. È proprio il rispetto per quest’ultimo a legare quasi tutti i progetti in mostra, che comprende modellini, video, installazioni e anche iPad, con programmi di realtà aumentata. C’è anche una sezione sull’importanza del disegno per i vari architetti e i loro relativi ritratti eseguiti da Ed Anthony. Il rispetto per l’ambiente è l’indiscusso protagonista della prima sala, dove l’Università di Houston espone Risky Habitat, gioco di parole tra “habitat” e “habit”, abitudine, che vuole far riflettere proprio sull’importanza delle attività umane nei processi naturali; ad esempio, i grafici rendono evidente come gli uragani crescano di intensità in vicinanza di aree molto inquinate, dato che ne assorbono l’energia e il calore. I modellini in mostra propongono quindi soluzioni architettoniche per arginare le catastrofi naturali o sfruttarne la potenza per la produzione di energia utile. Ma la natura non è solo qualcosa da cui l’architettura deve difendere noi umani, e anzi può entrare a farne parte in molti modi; la necessità di questa compenetrazione si fa sempre più urgente nel mondo contemporaneo.

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Il bosco della foto è uno degli esempi in cui natura e architettura si dimostrano complementari: siamo a Halden, in Norvegia, “la prigione più umana del mondo”, in cui i detenuti sono liberi di passeggiare tra gli alberi e passare del tempo da soli a contatto con la natura. Alla base di questo carcere di massima sicurezza, progettato da Erik Møller, c’è infatti una concezione del criminale come persona da rieducare, e non punire: quindi ogni cella misura 12 metri quadrati, ha un bagno personale, un televisore a schermo piatto e una scrivania, le finestre sono grandi e fanno entrare luce naturale, la sala di incontro con familiari e conoscenti è studiata architettonicamente come un normalissimo salotto e le mura di cinta sono decorate con graffiti di artisti contemporanei. I prigionieri possono frequentare corsi professionali, partecipare a attività sportive e cerimonie religiose e, appunto, passeggiare nel bosco che circonda i vari blocchi del complesso. L’architettura diventa quindi uno strumento per ricondurre le persone a un senso di comunità e di utilità sociale: le mura del carcere svolgono il compito di eliminare la libertà individuale, ma la natura al loro interno offre un rifugio, in cui si può provare la serenità necessaria a riflettere sul proprio ruolo.

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La natura può svolgere un ruolo fondamentale anche nella vita spirituale di un individuo; e allora ecco che la moschea Camlica di Instanbul, progettata dallo studio turco Tuncer Cakmakli Architects, è totalmente ricoperta di vegetazione per richiamare il Giardino dell’Eden, mentre le finestre sagomate a formare un versetto del Corano lasciano entrare luce naturale in uno spazio pensato per essere usato anche come luogo di ritrovo e di istruzione.

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Altre volte è la natura stessa a farsi architettura: è il caso di Eelena Jamil, originario della Malesia, che ha progettato abitazioni composte interamente in legno di bambù. In risposta al quesito lanciato da Rem Koolhas sulla globalizzazione dei singoli elementi architettonici e sul rischio di un’uniformità di linguaggio, è ben evidente come l’architettura contemporanea mantenga caratteri ben distinti da paese a paese e spesso torni proprio alle tradizioni più antiche nell’uso di materiali autoctoni e a basso costo.
Altri progetti instaurano un dialogo con le specificità locali, utilizzando materiali di riciclo per modificare gli spazi esistenti: lo studio Benjamin Garcia Saxe Architecture si è ispirato ai lampadari veneziani in vetro di Murano per creare l’installazione Vetri d’acqua, un lampadario realizzato con buste di plastica piene d’acqua che creano coi loro riflessi la sensazione di un sogno a occhi aperti.

Ricardo Bofill Taller de Arquitectura (RBTA) – Towards Biology Time Space Existence (en) from RBTA on Vimeo.

Il dialogo con Venezia continua nella videoinstallazione Towards Biology di Ricardo Bofill, in cui lo spettatore è circondato dalla voce e dalle immagini della riconversione della fabbrica, in cui è nato il suo studio; l’architetto si chiede come riconvertire altri spazi per plasmare un futuro in cui non saremo più noi a invadere la natura, ma al contrario ci lasceremo invadere da essa.

Futuro che del resto è già iniziato, perché come afferma la voce che ci avvolge “il tempo non esiste, lo spazio è tutto, è l’esistenza è… adesso!”.

A proposito dell'autore

Collaboratore

Nascerà a Perugia, studierà pittura e storia dell’arte a Venezia e lavorerà a Palazzo Grassi e Punta della Dogana. Illustrerà Obrigado Futebol e altri fumetti, farà performance sublicomiche e recensirà capolavori su artecontemporaneablog.it e RACNA Magazine. Un giorno sarà anche sexy come Jeff Koons, felice come Marcel Duchamp e serafico come Tiziano Terzani, ma chissà? Nel frattempo, lasciategli scrivere articoli sulle cose belle che non riesce a tenere per sé.