A Napoli l’arte incrocia la cronaca, da sempre, anche in modo disperato e volgare, come nelle nuove melodie dei quartieri, oppure nel rumore caratteristico dei vicoli, strombazzanti di motorini e voci sempre più aggressive. Nessuno si sarebbe aspettato però che il caso e la sorte, la ciorta o la jella (ovvero “la buona fortuna” o “la malasorte”) producessero in poco tempo l’esaltazione di due storie tipiche del retroterra culturale partenopeo.

Il boss e il ragazzo di paranza, il santo e lo scugnizzo, il colpevole e il presunto innocente, si incontrano oggi sulla cronaca dell’arte contemporanea in due opere decisamente contrapposte per stile, ma con un fondo di realismo che sfrutta la fisiognomica, per esprimere fino in fondo tutta la marea di sentimenti dell’artista.
Lo street artist Jorit AGOch (già autore di un murales raffigurante una giovane rom, ndr)ha scelto Gennaro, un operaio di Forcella, per un gigantesco murale, ma alcuni giornalisti si sono accorti maliziosamente che il naso, la sfrontatezza dello sguardo e le labbra, decisamente meno le sopracciglia e il destino, lo fanno somigliare al camorrista Nunzio Giuliano. Uno scempio inaccettabile del caso o delle maldicenze, cui forse bisognerebbe porre rimedio scegliendo un altro Gennaro, operaio o disoccupato, giovane ma onesto, impeccabilmente diverso nella fisionomia e nel cuore.
Paolo La Motta scelse proprio Genny, un altro Gennaro ma 2.0, tra i suoi piccoli studenti, già emancipati per comportamento e per necessità sociali, per comporre alcune opere, pittoriche e sculture, facendo di lui un oggetto di culto, ormai venerabile come ulteriore icona dell’adolescenza e dell’infanzia tradita a Napoli.
Una maledizione che da Caravaggio a Pasolini, Gemito o Viviani, toccherà ai ragazzi plebei di una città incapace di prendersi cura della prole per carenze familiari, sociali e strutturali, ma soprattutto per l’inadeguatezza della programmazione politica che ha sempre escluso ogni possibilità di progresso e di civilizzazione tra le possibilità da concedere a chi nasce nel quartiere sbagliato.
Se l’arte può qualcosa e sicuramente lo vuole, anche in queste due tristi storie, non è certamente quello di affidarci all’irrazionale, al sacro o al sentimento pagano, ma quello dell’assunzione di responsabilità diretta da parte dei fruitori e attraverso loro della borghesia e della upper class partenopea, nei confronti dei giovani e dei bambini di ogni estrazione etnica e sociale, perché ogni destino incrociando gli altri possa arricchirsi a vantaggio di tutti o almeno senza danno alcuno per nessuno.

A proposito dell'autore

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Manlio Converti, psichiatra, blogger, magato dalla cultura e dall'arte come continua innovazione e sperimentazione, come è la vita, nato nel 69, completa i suoi studi professionali col massimo dei voti nel minimo tempo necessario, laureandosi a 23 anni in medicina. Lavora stabilmente presso la Asl Napoli 2 nord, ma soprattutto perora cause civili e sociali, ancorchè in Italia siano finora perse, come i diritti gay, per egoismo, quelli delle donne e dei migranti, per altruismo, quelli dei sofferenti psichici, per dovere professionale, quelli dell'ambiente, per dovere naturale, quelli degli artisti napoletani e della relativa città conurbata, per patriottismo europeo.