Mister Fox è il nome d’arte di un talentuoso e sapiente pittore di Pozzuoli, di nome Angelo Volpe, classe 1976, ma a me faceva venire in mente il titolo di uno spassoso lungometraggio animato del grande Wes Anderson. Guai, però, a sottovalutarlo, perché il nostro Volpe ha alle spalle una laurea in pittura, conseguita presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e un apprendistato negli studi di alcuni grandi artisti concettuali come David Tremlett, Thomas Hirschhorn e, soprattutto, Sol Lewitt. In seguito, si è affermato con l’esposizione alla Biennale d’Arte di Venezia del 2011 e varie mostre in giro per il mondo, a Hong Kong, in Brasile, a New York (in una collettiva con Giuseppe Veneziano e altri maestri della corrente New Pop nella primavera del 2014). Custode delle antiche arti della pittura, Volpe lavora ad olio sulla tela, come i maestri del Rinascimento e del Barocco e, invero, la sua arte deve più di qualcosa alla tradizione, sia nelle tecniche, che prevedono ancora l’utilizzo delle velature, sia anche nella stessa impostazione scenica. In molti dei quadri della nostra volpe si rivela la stessa costruzione degli scenari paesaggistici “a quinta di teatro”, secondo la lezione della scuola romana dei Carracci prima, di Claude Lorrain poi, e canonizzati dal Valenciennes.

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I dipinti di Angelo Volpe, come Is anybody up there o Save a prayer entrambi esposti a Rio de Janeiro nel 2013 per la mostra What about Tomorrow, rivelano il richiamo alle pale d’altare classiche con madonne in gloria e salvatori crocifissi. Perfino nella posa dell’imponente e mostruoso Hold fast, misto tra il Saci-Pererê del folklore brasiliano e il Braccio di Ferro dei fumetti, si nasconde l’altera baldanza del David di Michelangelo. Il richiamo più diretto è però quello del “ganzissimo” San Sebastiano, in cui si ripropone il santo com’era stato rappresentato dal classico Guido Reni, munito di cellulare, piercing, occhiali da sole e tatuaggi tribali. Ma farremo un brutto servizio a Mr Fox ricordandone solo i rapporti stilistici con l’arte classica: l’uso potente di colori intensi e brillanti è pienamente all’interno del gusto patinato moderno e deve molto, per sua stessa ammissione, ai colori compatti e pieni di vitalità di Lewitt, colorandosi sempre, tuttavia, d’una sfumatura tossica e inquietante. E senza dubbio i soggetti delle sue opere non hanno niente a che fare con la tradizione. In effetti, la sacralità delle pale d’altare, dei paesaggi teatrali e dei magniloquenti ritratti è tradita e rotta dalla rappresentazione delle nuove icone mostruose del consumismo frivolo e alienante. Come lui stesso dice, si cerca una critica, piena di ironie e di chiavi di lettura differenti, a una società moderna, capace solo di creare “consumatori che si consumano mentre consumano”. Da Topolino a Hello Kitty, da Mc Donald’s a Burger King, dalle bambole pregne di morbosa sessualità ai feticci della modernità, niente è risparmiato in questa prosopopea disturbante, che calca la mano, provoca, dissacra, mastica e sputa ogni cosa: in una parola, è Pop.

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Hold fast

È un piacere andarlo a trovare nel suo studio a Pozzuoli: lo incontro già per strada ad attendermi premuroso, temendo, come stava accadendo, che non potessi trovare la strada da solo. Sempre gentile e affabile, è contento nel vedermi prendere appunti a mano, “alla vecchia maniera”, e mi offre tè e cioccolatini, mentre chiacchieriamo per oltre un’ora. La mia anima di storico dell’arte secentista e classico non riesce a trattenere la domanda:
Qual è l’apporto delle tecniche tradizionali nella sua arte?

Importantissimo! Pensi che conosco ancora le tecniche per la preparazione e l’imprimitura delle tele. Ho studiato approfonditamente il manuale tecnico del Piva, ma anche il venerabile Libro di Cennino Cennini e sono un appassionato lettore delle Vite del Vasari. Ho scelto, tra tutti i numerosi modelli possibili, proprio il classico ed elegante San Sebastiano di Reni per il mio dipinto omonimo, proprio perché è quello che mi piace di più.

 

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Sweet mustache

Com’è stato lavorare con Sol Lewitt?

Ho lavorato con Sol Lewitt durante i suoi ultimi anni, dal 2002 al 2007, quando viveva e operava a Praiano. Ho lavorato per lui per la grande esposizione del Madre del 2005. Di lui ricordo la grande affettuosità: era come una chioccia con i suoi collaboratori. Si preoccupava sempre che stessero bene e avessero la serenità necessaria per poter sempre rendere al meglio. Ovviamente era assai esigente, ma la sua fiducia e il suo atteggiamento positivo trasformavano la pressione in stimolo e partecipazione per dare il massimo. Mi ha trasmesso la stessa passione per la ricerca dell’armonia negli accostamenti di colori puri e la ricerca di un dialogo con gli spazi, la volontà di realizzare opere “giuste” per i luoghi e gli spazi delle esposizioni.

Per questo si è così preparato sulla cultura brasiliana prima di esporre a Rio?

A Rio sono rimasto assai colpito dall’intensità con cui vivono la vita politica e l’attualità: non sono affatto quel popolo spensierato che pensa solo alla samba, al pallone e al carnevale, come si pensa. Ricordiamoci delle proteste popolari alla vigilia dei mondiali di calcio di quest’estate. Io ho cercato, quanto meglio potessi, di omaggiare questa passione sociale e politica con una serie di opere in cui potessero riconoscerla e attingendo a piene mani dai loro miti, dai loro simboli: San Sebastiano, patrono di Rio, lo spirito del Saci-Pererê, “o Cangaceiro”.

 

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The garden of the liberties

E queste bamboline svestite, dalle teste e dagli occhi fin troppo grandi, cosa rappresentano?

 

Quelle sono le mie Sexy Dolls, appartengono a un filone di ricerca che penso di aver trattato ormai a sufficienza nelle mie opere. Stanno a rappresentare, da un lato, gli aberranti modelli estetici femminili, spersonalizzanti e di massa, dall’altro, voglio rappresentare uno dei primi fallimenti delle teorie femministe del ’68. Mi sono ispirato, nella realizzazione di queste bamboline, un poco alle Bratz, queste bamboline alle quali le bambine possono cambiare vestitini sconci e trucco (e magari prenderle pure a modello), un poco ai personaggi degli hentai giapponesi. Sono tutte uguali, ammiccanti, impersonali, irrealistiche. A vederle, fan più spavento che desiderio. Ci sono genitori che, per il diciottesimo compleanno delle figlie, regalano loro interventi di chirurgia plastica, pensando anche solo vagamente a questi modelli.
Da un punto di vista più ampio, intravedo il fallimento di alcune teorie femministe per cui la libertà sessuale e una maggiore disinibizione potessero essere il viatico per il raggiungimento di un maggior potere sociale e la strada per la pari dignità. In realtà, oggi vediamo forse aumentare le disparità e vediamo anche molte donne, soprattutto le più insicure, subire più che dominare i canoni estetici attuali. La differenza fondamentale rispetto al passato è che oggi anche un numero sempre maggiore di uomini subisce il condizionamento dei modelli estetici di massa.

 

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Bananack Obama

A sentirla parlare così e guardando certi ritratti che sta realizzando, come Bananack Obama o Hello Kitler, mi vien da dire che lei sia un artista molto politico…

Non mi sento schierato per un partito in particolare e non voglio che una particolare visione politica imbrigli e soffochi la mia creatività artistica. L’arte è per me una realtà parallela, un sogno distante, in cui si trasfigurano e si mescolano i miei pensieri e le mie fantasie, secondo un processo che, però, non controllo, se non in una parte molto piccola. Sono convinto del fatto che tutto, nella vita, sia “politico”, ogni scelta, perfino quella di come andare al bagno. Conscio che abbiamo avuto totalitarismi sia di destra che di sinistra, credo che oggi i modelli alienanti del consumismo globalizzato rappresentino una nuova forma di larvato totalitarismo, assieme al dogma della politically correctness. Per questo non voglio risparmiare niente e nessuno, scagliandomi anche contro personaggi che per lungo periodo sono sembrati intoccabili, magari per questioni legate alla razza, come il Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, che secondo me è invece molto criticabile per il suo operato, e nel farlo scelgo provocatoriamente giusto il modo più politicamente scorretto. Tuttavia, non volendomi imporre allo spettatore, cerco sempre di lasciare aperta ogni possibilità di lettura e interpretazione.

Progetti per il futuro?

Uno su tutti: il grande successo della collettiva di artisti New Pop questa primavera a New York mi ha portato fortuna. La stessa galleria, la Krause Art Gallery mi ha ingaggiato per una personale che inaugurerò nella Grande Mela il 13 Novembre.

 

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