Napoli incontra Warhol, nuovamente, attraverso una continua trasfigurazione di significati, ruoli, comportamenti e stile, narrati dalle pareti bilingue che ci fanno ascoltare i pensieri materiali del maestro.
Nei noiosi filmati presentati alla mostra, cugina di quella romana e per questo maltrattata dagli stessi borghesi e dai soliti giornalisti fobici, vediamo un Warhol vivo, sebbene algido e poco vivace, perfettamente riconoscibile e sicuramente alieno con la sua zazzera bianca, ma anche perfettamente ignorato dai nostri concittadini.
Folle di oranti, mediocri studenti e cittadini comuni, per ottenere la gratuità dei primi tre giorni, si sono invece riversati come un’orda all’ingresso del PAN, incapace di accogliere una tale massa, nonostante l’impegno a realizzare continue esposizioni di alto livello, necessarie ad un popolo sommerso da cemento e barocco, ma che ha sepolto la contemporaneità nei capolavori tecnologici della metropolitana.
Trasfigurazioni sono le opere che lentamente passano dal negativo di una fotografia a tutti i possibili positivi policromi o monocromatici, poi disegnati e infine ricolorati, secondo lo stile proprio della Pop Art con colori vivaci e contrastanti, ma anche i soggetti rappresentati, drag queen afro-americane, che ricordano i viados che hanno invaso le strade tra Municipio e San Carlo.
Trasfigurazioni sono le visioni di una Napoli che diventa New York nelle parole dell’artista e nelle sue polaroid, le cover di riviste ed LP, oggetti incomprensibili ai distratti studenti e ormai antichissimi, dato che siamo ulteriori alla materialità della cultura attraverso riviste online e fotografie elettroniche.
Trasfigurazioni del Vesuvio, ovviamente, con lave di colori impossibili, come i ritratti dell’alta borghesia napoletana, i cui originali forse sono costretti al botulino e ai chirurghi per eternarsi nel ricordo magistrale, mentre D’amelio sfugge questo destino, con l’ironia dell’ombretto e del gesto, la mimica e il marchio made in Italy che volle dare anche agli artisti internazionali invitati a lavorare Napoli.
Non ci sono le tele, ma Warhol ci aveva avvisato: anche la tradizione contemporanea italiana prevedeva la ripetizione, e il successo della mostra dei capolavori impossibili del Rinascimento, a San Domenico, o il meno conosciuto Museo Virtuale, ad Ercolano, ci mostrano quanto sia vero oggi anche per l’arte del passato, eppure ci sembrano ingenue e depassèes le insegne ripetute della Campbell, divenute icone una ad una, ormai pronte all’oblio come i film di Wim Wenders sulle angosce di una Berlino divisa: Warhol non è più un autore contemporaneo, ma un classico da museo.

A proposito dell'autore

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Manlio Converti, psichiatra, blogger, magato dalla cultura e dall'arte come continua innovazione e sperimentazione, come è la vita, nato nel 69, completa i suoi studi professionali col massimo dei voti nel minimo tempo necessario, laureandosi a 23 anni in medicina. Lavora stabilmente presso la Asl Napoli 2 nord, ma soprattutto perora cause civili e sociali, ancorchè in Italia siano finora perse, come i diritti gay, per egoismo, quelli delle donne e dei migranti, per altruismo, quelli dei sofferenti psichici, per dovere professionale, quelli dell'ambiente, per dovere naturale, quelli degli artisti napoletani e della relativa città conurbata, per patriottismo europeo.