Intervista ad Andrea D’Amico, fotografo torinese classe 1970, cresciuto tra Nord e Sud Italia, con un background da industrial e graphic designer e da fotografo di strada. Nel 2011, dopo aver lavorato a Parigi e Londra, è costretto ad abbandonare l’appartamento parigino, ne “approfitta” per trasferirsi “sulla strada”. Da questa esperienza nasce la serie di fotografie dal titolo Bay Window.

Quando è iniziata la tua passione per la fotografia? Come ti sei avvicinato a quest’arte?

L’avvicinamento è stato graduale: mi capitava di giocare con la piccola macchina fotografica di mia madre già da bambino, ma la passione è stata una diretta conseguenza della mia grande curiosità visiva, del mio continuo guardarmi intorno per vedere quanto succede. Non ho mai considerato la mia fotografia “arte”, ma un vero e proprio “linguaggio”, attraverso le mie serie racconto una storia, una situazione.

Quali sono i tuoi maestri e chi ti ha davvero influenzato o fatto comprendere quale strada intraprendere?

Non ho avuto maestri che mi hanno influenzato o indicato la retta via e ho sempre pensato che ogni fotografo dovrebbe essere il fotografo preferito di se stesso. Siamo tutti diversi, ognuno ha le sue cose da dire, più o meno interessanti. La miglior soluzione per esprimere chiaramente e in modo originale le proprie idee è di farsi influenzare soltanto da se stessi e dalla propria natura, stilisticamente e intellettualmente.

Andrea D'Amico - Bay Window

Andrea D’Amico – Bay Window

Come è nata la serie Bay Window? Hai avuto difficoltà nella realizzazione del progetto?

Bay Window è una serie personale e autobiografica che descrive una situazione particolare nella quale mi sono improvvisamente trovato: non avere più una casa. Le mie serie prendono spesso spunto dalla mia vita, dalla realtà. Trovarsi improvvisamente per strada è stata una violenza anche per chi, come me, ha sempre saputo adattarsi e vivere all’avventura. Un giorno ero seduto dentro il mio pulmino senza sapere bene cosa fare e dove andare; psicologicamente non stavo bene; guardavo fuori dai finestrini; la vita degli altri andava avanti. Ho preso istintivamente la mia macchina fotografica e ho iniziato a fotografare quello che vedevo, cercando di rubare agli altri quell’energia che io non avevo più. Le mie foto erano però tristi, com’ero triste io e com’era triste Parigi.
Una persona che conosce molto bene me e le mie foto, mi consigliò di partire, di andare via: seguii il suo consiglio e le cose e il morale cambiarono rapidamente e la serie Bay Window fiorì. La tristezza del non avere più una casa si trasformò ben presto nella felicità di averne un’altra a quattro ruote che mi dava libertà e che mi permetteva di assecondare il mio spirito libero, la mia curiosità e la mia natura selvatica. Da allora vivo sulla strada senza rimpianti.

Spesso i tuoi scatti sono “rubati”. Puoi raccontarci come capisci quando è il momento giusto di scattare? Ti è mai capitato di essere “scoperto” o che qualcuno dei soggetti ritratti ti abbia chiesto spiegazioni?

È una cosa istintiva che non si può spiegare così facilmente: fra il comprendere che un’immagine può essere interessante per quello che vuoi raccontare e il reale gesto dello scatto spesso passa non più di un secondo. Altre volte l’immagine da fotografare la vedo arrivare per tempo e allora posso permettermi un patrimonio di qualche secondo. Altre volte posso fermare il veicolo e allora posso addirittura permettermi di respirare prima di scattare. Non mi capita spesso di essere “scoperto”: i finestrini, per quanto trasparenti, sono una protezione. Se poi una porta è aperta e si fotografa qualcuno in sovrappeso in costume da bagno che tira fuori una sedia dalla macchina, male che vada ci si prede qualche maledizione. Ma la fotografia per certi versi è una missione e non ci si può fermare davanti a nulla: l’importante è avere rispetto per ciò che si fotografa. Il problema vero è quando non si riesce a scattare una foto per qualche piccolo o grande imprevisto, e le foto che non sono riuscito a scattare, io me le ricordo tutte e forse sono le migliori.

Andrea D'Amico - Bay Window

Andrea D’Amico – Bay Window

Progetti futuri?

La serie Bay Window è stata esposta dalla Little Birds Gallery di Parigi, che mi rappresenta dal 2013, a fiere internazionali di fotografia a Bruxelles, Parigi, Milano e Bologna fra il 2013 ed il 2015. La serie è stata anche esposta e proiettata durante il Mounth of Photography di Los Angeles lo scorso aprile. La serie continuerà a essere esposta anche in futuro sia in Europa sia al di fuori. Qualche tempo fa, al mio pulmino si è rotto il motore: nell’attesa di una costosa riparazione, ho resuscitato la vecchia station wagon di mio padre, con la quale sto lavorando sul secondo capitolo della serie, Breakdown, in bianco e nero. La speranza e di ritornare presto sul pulmino e al colore per un terzo e, penso, conclusivo capitolo della trilogia. Non è così facile fare progetti, perché è difficile sapere cosa succederà domani e quale sarà la mia prossima fonte d’inspirazione. Poi, fra le altre, c’è la mia serie faro, Lonesome, alla quale lavoro da quindici anni e che parla della mia istintiva ricerca di solitudine: ma questa è un’altra storia ed è tutto.

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A proposito dell'autore

Di origine pavese vive e lavora a Parma. Pubblica opere di poesia, Bagliori crepuscolari nel buio (1999), Bitume d’intorno (2005), Contratto a termine (2010) e Tracce nel fango (2011) oltre a testi presenti in antologia. Ha curato Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto 2008) e Pro/Testo (Fara 2009). Nel 2012 per le Edizioni d’If è uscito il poemetto I Resistenti, scritto con Carmine De Falco, tra i vincitori del Premio Russo – Mazzacurati. Collabora a riviste e fa parte di Ultranovecento.