Abbiamo incontrato Ernest Pignon-Ernest a Scampia, lo scorso 18 aprile, in occasione della proiezione, organizzata dal colletivo Sikozel con Davide Cerullo, del docufilm Se torno in cui l’artista nizzardo è stato ripreso mentre realizza i suoi singolari lavori sulle tracce dei luoghi pasoliniani.

Intervista a cura di Marilisa Moccia

Sono passati circa trent’anni da quando Ernest Pignon-Ernest popolava con le sue immagini il centro storico di Napoli. Già in quegli anni risale una prima raffigurazione di Pasolini che irrompe nel Davide e Golia di Caravaggio. Nella primavera del 2015 Ernest Pignon-Ernest è tornato in città per incollare, a Santa Chiara e sulle Vele di Scampia, una struggente Pietà di Pasolini. Il poeta, martoriato e in posa cristologica, viene portato in braccio da un se stesso che esprime la sua muta ed efficace denuncia. Un volto che, come si narra in “Se torno”, interroga e accusa i passanti.

Quella che segue è un’intervista che Ernest Pignon-Ernest ci ha concesso, ripercorrendo il suo rapporto con la città di Napoli.

 

Che impressione ha avuto della gente di Napoli negli anni ’80 e ’90, all’epoca dei suoi primi lavori in città?

Sentivo che chiunque incontrassi per strada, anche se di condizione modesta o non particolarmente colto, era fiero della storia di Napoli. È come se tutti fossero consapevoli della storia della città e della propria. Qui la gente cita Virgilio, ma alcuni non sanno se è un autore del Novecento o di duemila anni fa. Sanno solo che appartiene alla loro storia, alla ricchezza della storia di Napoli.

Come ha trovato i luoghi? Sarebbe ancora possibile la presenza dei suoi poster oggi, nel centro storico?

Ciò che ho fatto venticinque anni fa non potrei più farlo oggi perché c’è un vero e proprio inquinamento di immagini.
Tutti i muri di Napoli sono coperti di graffiti, di tag senza che dietro vi sia alcuna riflessione critica; sono gli stessi graffiti che potremmo trovare a Bagnolet, a Santiago del Cile, in Sudafrica; inoltre sporcano il tufo, un materiale poroso che una volta impregnato resterà macchiato per anni e ciò mi contraria. Credo che sia parte di un regresso culturale. Lo trovo inquietante. C’è una generazione che non si rende conto della ricchezza da cui è circondata, una generazione che non si iscrive nella Storia.

Utilizza per i suoi interventi delle opere che vengono incollate sulle mura della Città e dei suoi palazzi senza disegnare direttamente sulle sue pietre, è stato un atto di rispetto, di cura per il luogo?

Sì, vuol dire essere consapevoli che il luogo è portatore di storia. Ci sono prospettive nel futuro solo quando si ha una ricezione del passato intensa.
Pasolini stesso dichiarava “io sono arcaico”. Parlava della “straordinaria forza rivoluzionaria del passato” e la gente che non ha passato è condannata: se non sa da dove viene, non saprà, dove andare.

Ernest Pignon-Ernest tra i bozzetti preparatori della Pietà di Pasolini (Frame dal docufilm “Se Torno”)

Ci può raccontare la genesi dei suoi lavori degli anni ’90 a Napoli, in cui ha incollato, conferendogli la stessa dignità, le immagini delle opere di Caravaggio o la sagoma della vecchia signora che viveva in via san Biagio dei librai. 

Ciò che facevo all’epoca era una specie di ricerca non soltanto sulle immagini di Caravaggio ma in generale sulle rappresentazioni della morte di cui noi abbiamo bisogno. Io non sono credente, ma mi rendo conto che è necessario interrogarsi, porsi delle domande. Ne abbiamo bisogno, fa parte della nostra cultura. C’è un momento della storia della città in cui il dialogo con la morte è molto intenso: la peste, l’eruzione del Vesuvio e contemporaneamente Caravaggio e Gesualdo… è un momento spaventoso eppure c’è la creazione artistica, un tale e straordinario fermento. Mettendo le mie immagini in determinati luoghi avevo la sensazione che esse fossero in qualche misura già presenti, il mio lavoro consisteva solo nel riportare alla superficie cose perdute nella memoria dei luoghi. Le mie immagini hanno giocato questo ruolo: riattivare elementi che fondano la nostra cultura. Come vede, è un lavoro aperto, la mia è in un certo senso ancora una ricerca – poi sorride – Io sono una persona che dubita, sono in dubbio permanente.

Forse è proprio questa ricerca che sussiste dietro le immagini a rendere il suo lavoro così importante e così potente. Ricordo la sua installazione in un’altra periferia. A Parigi, a Saint- Denis, guardando Extases mi colpì molto l’esposizione dei cartoni e degli schizzi preparatori visitabili al pari dell’opera compiuta.
(N.d.R. Extases è la raffigurazione di sette mistiche in estasi. I disegni di grande formato sono stati installati all’interno di uno specchio d’acqua, collocato nella chiesa sconsacrata che ospita il museo di Saint-Denis)

Lo studio preparatorio era parte dell’opera. Avevo bisogno di creare il movimento delle mistiche, i disegni sono sistemati nell’acqua in maniera da creare un’opera dinamica. Ciò che ho fatto a Saint-Denis è simile a ciò che ho fatto a Napoli. Volevo prendere il potenziale simbolico, plastico, poetico del luogo, una chiesa, e fargli scivolare dentro un’immagine che potesse riattivarlo, scuoterlo. Ciò che facevo a Napoli era simile solo che Extases era immersa nell’acqua.

C’è dunque un costante dialogo tra il disegno, lo spettatore e il luogo?

Le mie opere non sono i miei disegni. I disegni sono solo il medium. Se vogliamo parlare dell’opera potrei dire che essa è ciò che provoca il mio disegno in un luogo.

Bozzetto preparatorio della Pietà di Pasolini di Ernest Pignon-Ernest (Frame dal docufilm “Se Torno”, proiettato nella vela Celeste di Scampia)

La sua presenza alla scena della street art ha dato molto a Napoli, c’è invece qualcosa che specificamente Napoli le ha dato?

Napoli è stata una tappa essenziale per il mio lavoro e per la mia formazione. Mi ha permesso di capire bene come funzionava l’immagine e allo stesso tempo di approfondire il disegno; è stata la coniugazione di molte cose. Io credo che Napoli abbia una specificità: c’è come una resistenza alla normalizzazione. La città non si lascia ridurre allo standard culturale che si impone nel mondo.
Ieri ad esempio (Ndr Lunedì in Albis) sono stato a Madonna dell’Arco. È incredibile quello che accade: c’è una grande ambiguità. Che ci siano ragazzi adolescenti devoti a quel tipo di culto vuol dire resistere al rullo compressore mediatico mondiale, vuol dire resistere alla globalizzazione, difendere la propria storia. Questo aspetto lo ammiro.

Come e perché scelse Napoli?

Prima di venire a Napoli lavoravo sulla rappresentazione umana da 40 anni. Ma sentivo che la carenza di formazione religiosa per me era una vera lacuna e avevo un assoluto bisogno di andare in un posto in cui ritrovare i miti fondativi della mia cultura, ma non sapevo dove.

E poi..?

E poi ci sono stati un caso e una folgorazione. Un giorno ascoltavo alla radio una trasmissione sulla musica napoletana e i brani in sequenza furono: Pergolesi, Cimarosa , Gesualdo e ‘O sole mio.
E lì mi sono detto: Ecco, una città che produce una musica così sofisticata come quella di Gesualdo e allo stesso tempo popolare come ‘O sole mio.
Per certi versi mi ricorda Nizza. È come Nizza esacerbata. Abbiamo in comune la radice greca, romana, cristiana, la stessa storia, gli stessi sentimenti ma qui è tutto più forte. Qui è come vedere contemporaneamente tremila anni di storia stratificati davanti ai propri occhi.

Cosa ne pensa degli altri artisti di street art a Napoli?

Ho visto cose interessanti in giro, alcune opere graficamente sono molto interessanti ma la scelta dei luoghi a volte è priva di senso.

E infine Scampia. Come mai Scampia oggi e cosa significa per lei tornate a Napoli dopo due anni dai suoi ultimi lavori?

Due anni fa, in occasione dei quarant’anni dalla morte di Pasolini, avevo incollato delle immagini nei luoghi che hanno rappresentato una tappa della sua storia. Ho incollato la mia Pietà a Matera per il Vangelo secondo Matteo, a Santa Chiara per il Decameron, a Roma per tutta la sua produzione romanzesca e filmica, a Ostia per il suo assassinio e infine volevo che fosse presente anche in una periferia. Ho cominciato a cercare tra i luoghi della marginalità pasoliniana. Ma a Roma non ho ritrovato i posti di Accattone o Mamma Roma. Non esistono più. È tutto cambiato, sono diventati –fortunatamente – dei luoghi ripuliti e piccoloborghesi. Allora ho capito che se dovesse scegliere oggi un luogo della marginalità, Pasolini sceglierebbe questo. È così che sono arrivato a Scampia. Ed è straordinario che Davide (Cerullo ndr) mi abbia accolto così.

Cosa vede nel futuro della città?

Ho molta fiducia nei napoletani. Ho paura invece del turismo che si sviluppa in maniera mostruosa. Il turismo “educa”, disvela un’attitudine differente della gente ma io credo che i napoletani resisteranno. Napoli ha resistito agli Angioini, ai Borbone, a tutte le dominazioni. Resisterà anche ai turisti.

 

linkografia

Per approfondire i lavori di Ernest Pignon-Ernest visita il sito dell’artista

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