Si è inaugurata il 29 aprile allo Spazio Amira di Nola (via San Felice n. 16) la personale “Odissee” del duo Cyop & Kaf. Per la prima volta a Nola, i due street artist presenteranno le opere nate per l’omonimo libro, nel quale al racconto per immagini si accompagna il testo del cantautore Enzo Avitabile. La mostra è curata da Raffaele Avella, Vittorio Avella, Antonio Sgambati e Rita Alessandra Fusco e potrà essere visitata fino al 20 maggio 2016, dal giovedì alla domenica, dalle 19.00 alle 22.00.
Scarse sono le notizie sul duo napoletano, se non che si tratta appunto di due artisti nati dalla strada che hanno operato spesso anche da soli o in crew con Eno, altro celebre writer partenopeo. E che solo di recente, dopo apprezzati interventi di vera e propria riqualificazione urbana (come quelli portati a termine nel cuore dei Quartieri Spagnoli di Napoli e nel centro storico di Taranto), hanno deciso di lambire la sponda del post-writing, trasfondendo l’esperienza e il repertorio iconografico accumulati in anni di applicazioni murali di strada verso supporti più leggeri e “maneggevoli”, come la videoarte e il disegno su carta.
Il titolo sotto il quale essi sono raggruppati evoca un’idea di coralità e rapsodicità: non sono forse i writers i veri rapsodi per immagini dell’epica tormentata, distopica, delle metropoli contemporanee? Ma anche il riferimento politico allo scontro “indotto” tra civiltà e al dramma dell’esodo dei rifugiati resta tutt’altro che implicito o sotto traccia.
La raccolta passa in rassegna una composita galleria di personaggi umanoidi inchiodati a una grafica scarna e controllata, ben più severa di quella che il duo ha utilizzato di solito en plein air: strani mutanti saviniani, pinocchi cibernetici, cavalieri crociati dall’identità perplessa e controversa, uomini intrappolati in strani strumenti di (auto?)tortura, scorci di arti incatenati o naufraghi in procinto di affogare. Figure troppo ambigue ed enigmatiche per assurgere a emblema, troppo feroci ed espressive per non sottintendere un forte messaggio di critica sociale.
Le fonti iconografiche sono eclettiche ed eterogenee: si va dal registro “basso” della cultura di strada più anonima, alle citazioni esplicite di writer internazionali blasonati (come l’arabic script, assurto a cavallo di battaglia di Rammellzee nella New York degli anni ’80), fino ai codici miniati medioevali e alle strizzate d’occhio al genius loci artistico campano (Palladino e Tatafiore in prima fila).
Nel corso del vernissage, il duo ha dipinto un murale all’interno dello spazio espositivo che sarà distrutto al termine della serata, conservando solo alcuni frame come testimonianza pro posteritate.
L’antico rituale vedico dello Yantra-Mandala si rinnova così in chiave contemporanea, auspice della rinascita e del rinvigorimento spirituale della civiltà umana dalle ceneri di un’autocombustione simbolica, resa quasi necessaria e appetibile dall’intrecciarsi di troppe rotte “rotte” e senza direzione, di troppe immagini cariche di vuoto che ammiccano alla pancia insoddisfatta del Consumatore senza lambire l’Uomo; il suo sguardo affamato di riposte, di approdi, dopo la lunga guerra combattuta per diventare “liberi” e “moderni”.

Articolo di Emiliano D’Angelo

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