Chiara Rapaccini, fiorentina, ha sempre voluto, sin da piccola, fare l’artista. Non la pittrice, l’illustratrice, la scultrice o la designer, ma l’artista. Definizione che può voler dire fare tutto ciò oppure qualcos’altro.

Ho sentito Chiara Rapaccini al telefono. Mi sono preparato per mesi a questa intervista, temendo ogni volta di non essere all’altezza. Ultima compagna di Mario Monicelli, temevo di poter urtare in lei la stessa aspra suscettibilità di cui andava famoso il cineasta, tanto grande e sensibile quanto solitario e diffidente. Invece ho a che fare con una persona affabile, che parla senza l’intermediazione di un ufficio stampa, che si lascia contattare sui social network, decide la data per l’intervista, mi lascia il numero di telefono. Parla senza vantarsi del suo lavoro, ha poco tempo e ha interesse a una comunicazione efficace: i fronzoli li lascia per chi si fa chiamare Maestro.

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Gli psicanalisti

 

Chiara Rapaccini, lei è molto occupata in questo periodo. Cosa bolle in pentola? Quali sono i suoi progetti per l’immediato futuro?

Tanto per cominciare, inauguro una mostra personale del ciclo degli “Amori Sfigati che, come sa, è cominciato a Napoli (alla Galleria HDE di Francesca di Transo, in Via Fiorelli a Chiaia, dal 13/11 al 15/12/2014, ndr), a Milano, alla Galleria Il Vicolo di Via Maroncelli. La mostra sarà allestita dal 12 Febbraio fino al 14 Marzo, per poi spostarsi alla sede genovese de Il Vicolo in primavera. Saranno esposte illustrazioni realizzate in acrilico su legno e sculture, fatti tutti con materiale di risulta o riciclato. In marzo, poi, il libro degli Amori sfigati, dato il successo avuto, sarà riedito e ampliato dalla Franco Cosimo Panini Editore.

Ci parli di più di Amori sfigati.

Amori sfigati è nato unendo il mezzo dell’illustrazione alla satira. Dietro l’ironia e la facilità del disegno vignettistico, c’è stato sin da subito l’intento di indagare su che cosa siano diventate oggi le relazioni di coppia, con tutte le loro difficoltà e problematiche. Il successo ha spinto moltissime persone a partecipare al progetto, suggerendo a propria volta delle battute o raccontando vicende personali che poi ho illustrato. Hanno partecipato molte donne, ma anche molti uomini, e il risultato è stato tanto interessante e fervido che ho deciso di pubblicare un nuovo libro di Amori sfigati.

Quest’anno cade il centenario dalla nascita del suo grande amore, Mario Monicelli…

E difatti sarò molto impegnata anche su quel fronte. Ho ideato un format che si chiama RAP per Monicelli, unendo i mezzi di cinema, arte e fotografia, con la collaborazione di Cinecittà e dell’Istituto Luce. In alcune delle più importanti città del mondo, in circuiti d’essai o underground, verranno proiettati i film di Monicelli sottotitolati e presentati da me che racconterò aneddoti dell’intimità di Monicelli, della persona che era, dell’intellettuale che preferiva essere ricordato come pensatore sociale, di sinistra, quella vera, l’estrema sinistra, anche più che come cineasta. Contemporaneamente, in musei e centri culturali delle stesse città, saranno esposte delle riproduzioni di fotografie ancora inedite e sconosciute che lo ritraggono (alcune, opera di grandissimi protagonisti della fotografia del Novecento, come Robert Doisneau) su grandi lenzuoli bianchi di oltre tre metri l’uno. Su queste riproduzioni, dove Monicelli comparirà come una sorta di fantasma, verranno rappresentati con tempera e acrilico i personaggi delle mie vignette nell’atto di dialogare con lui. La prima tappa, a inizio 2015, è stata New York, coi film proiettati nell’importante New York Film Forum e le installazioni esposte alla New York University. Toccherà poi a Buenos Aires, dove i film di Monicelli saranno proiettati durante il festival di cinema indipendente BAFICI, riferimento per tutto il Sud America e non solo, e le installazioni verranno esposte al Centro Culturàl de La Recoleta. Un’altra tappa sicura sarà di nuovo Napoli, dove il mio lavoro trova sempre molto seguito, dal 1° Luglio. Esporrò le mie installazioni o al PAN o al Museo Madre e i film verranno proiettati probabilmente al Cinema Filangieri.

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Domanda scontata ma necessaria: come ha conosciuto Mario Monicelli? Com’è stato vivere con lui?

Io avevo vent’anni e lui sessanta. Essendo fiorentina, vivevo coi miei a Firenze, tentavo di studiare storia dell’arte, nonostante le aspre contestazioni che facevo ai miei professori, perché già allora ero schierata in politica verso posizioni di estrema sinistra. Firenze, all’epoca, era una città insopportabilmente borghese e borghese è anche la mia estrazione sociale: ai miei non piaceva l’idea che io volessi fare l’artista. Pensavano che probabilmente dopo gli studi mi sarei dovuta sposare. Per arrotondare, io e i miei amici partecipavamo come comparse ai film e venimmo ingaggiati per Amici miei, il primo dei tre. Non sapevamo affatto chi fosse Monicelli, non sapevamo quasi niente: eravamo ragazzi. Questo anziano regista mi nota, mi fa due battute per scherzare, io gli rispondo. Comincia un amore molto platonico che, in fondo, era una bella amicizia. Un paio d’anni e quest’amore diventa molto vero, si crea lo scandalo: lui lascia la moglie, i figli, io vengo cacciata di casa dai miei, vado a vivere con lui a Roma. Le malelingue ci danno addosso: vengo descritta un po’ come ragazzina arrampicatrice che voleva fare l’attrice. Invece, io fui sempre molto chiara fin dall’inizio con lui: volevo fare l’artista e lo feci. Lasciai i corsi di storia dell’arte, mi interessai di pedagogia e di psicologia dei processi cognitivi, mi laureai, nel ’79 pubblicai il mio primo libro di illustrazioni per ragazzi. Vissi comunque il mondo del cinema e questo mi assorbì inesorabilmente, ho conosciuto personaggi straordinari come Sordi, Tognazzi, Roman Polanski. Gente che aveva, all’anagrafe, anche trent’anni più di me e dei miei coetanei eppure era molto più giovane di molti della nostra generazione, che è stata, in larga parte, piccola, vigliacca e vecchia dentro. Invece quelle persone hanno fatto parte di una generazione straordinaria, molto giovane, molto forte, molto umile, ma capace di realizzare grandissima arte. Per un poco, mi mancarono i miei amici, la mia famiglia; ma durò poco. Ci fu un vero esodo dall’opprimente Firenze verso Roma, io crebbi con gente come Benigni, Paolo Hendel, David Riondino, Alessandro Benvenuti. Tutti fuggiti a Roma. Anche i miei si abituarono presto e ci accettarono: si creò un grande affetto tra la mia famiglia e Monicelli: era uno spasso il fatto che lui chiamasse “babbo” mio padre, che era suo perfetto coetaneo.

Come ha influito il suo rapporto con Monicelli sul suo lavoro e viceversa?

Il nostro è stato un grande amore: sono cresciuta con lui e, per certi aspetti, sono invecchiata prima di lui. Ha avuto una grande energia e un’immensa lucidità fino all’ultimo: doveva vederlo a 90 e passa anni occupare le fabbriche, fare le veglie con gli operai cassintegrati, coi terremotati, mentre io non ce la facevo e gli chiedevo di tornare a casa, perché avevo freddo. Lui mi diceva, allora: “va’ pure a casa che sei vecchia”, ma lui restava là, ce la faceva, col suo fragile corpo malato. Tuttavia non abbiamo lavorato moltissimo insieme: ho lavorato per i manifesti e le locandine dei film Panni sporchi del ’99 e, soprattutto, Le rose nel deserto del 2006 (ultimo film di Monicelli), esperienza dopo la quale ho scritto il libro Le mosche nel deserto (edito da Maschietto). Abbiamo realizzato insieme, invece, il documentario Vicino al Colosseo … c’è Monti (2008), sul rione dove abitava e da lui molto amato. Le mosche nel deserto nacque su una constatazione divertente: si girava davvero nel deserto e tutti nella troupe ne soffrivano, si ammalavano, si stancavano. Tutti tranne lui, che alla veneranda età di 91 anni era sempre instancabile… (compare un filo d’emozione nella voce, nda). Le posso concedere solo un altro minuto, bisogna montare la mostra.

Certamente. Volevo chiederle ancora qualcosa sul suo stile. In precedenti interviste, ha detto di non aver mai imparato a disegnare, ma allo stesso tempo che non distingue il lavoro di illustratrice da quello di pittrice. Mi può aiutare a capire meglio la sua posizione e parlarmi dei suoi riferimenti stilistici, della stima che ha verso altri illustratori?

Il fatto è che io, sin da piccola, volevo fare l’artista, non la pittrice, l’illustratrice, la scultrice o la designer. Per me, quelli non sono mai stati obiettivi, ma mezzi. Ciò che voglio creare, tento di crearlo, cercando sempre il mezzo che mi permetta la massima immediatezza e spontaneità. Da questo punto di vista, non ho mai cercato di ricollegarmi alla tradizione né dell’arte classica né del disegno per illustrazioni, con tutto il rispetto e la grande considerazione che ho, ovviamente, per certi colleghi, come Roberto Innocenti o Bruno Rocco. A me piacciono Campigli, Mirò, Matisse, la pittura delle icone bizantine (modello evidente nelle sue figure frontali di donne, nda), gli idoli, l’arte rupestre, quella africana, l’art brutte dei malati di mente. Quelli sono i miei riferimenti. Sarà la solita storia della volpe e dell’uva, quindi la mia è forse idiosincrasia verso ciò che non so fare, ma detesto il Rinascimento, il realismo, questa ricerca della terza dimensione, di finzione: per me quella tradizione ha tradito, non glorificato, l’Umanesimo perché ha cercato di negare la sua immaginazione più istintiva.

Nessun disagio: quando si prende una strada, chiaramente la si segue dov’essa porta. Questa è RAP.

E io lo rivendico.

 

bio dell’artista

Chiara Rapaccini esordisce giovane come comparsa in “Amici miei”,  conosce il grande Mario Monicelli e, in un paio d’anni, ne diventa la compagna. Lascia gli studi in Storia dell’Arte, per laurearsi in Psicologia dello sviluppo cognitivo e Pedagogia all’Università di Firenze; percorso di studi che la spinge a usare l’arte per comunicare ai bambini la realtà della vita, non solo degli adulti. Va a vivere a Roma con Monicelli. A 25 anni pubblica il primo di oltre due dozzine di libri di illustrazioni, è tra i primi a trattare temi tabù per i bambini, come la sessualità, la diversità, il divorzio. Ha realizzato vignette satiriche per i principali giornali italiani (La Repubblica, Corriere della Sera, Il Manifesto, L’Unità), pubblicità, manifesti per il teatro e per il cinema, sculture, oggetti per il design (lavorando per ROBOTS e Deego), ha curato percorsi didattici per il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, insegna “Illustrazioni per Bambini” allo IED di Roma. Ha esposto mostre personali a Roma, Milano, Osaka, Parigi, New York, Lisbona, Bruxelles. Alcune sue opere fanno parte delle collezioni del Museo Nazionale di Tokyo e del Palazzo delle Esposizioni di Genova. “Lovstori (Amori sfigati)”, edito da Magazzini Salani nel 2010 è stato il suo primo libro di illustrazioni per adulti.

invito mostra

Rap amori sfigati

A proposito dell'autore

Laureato in storia dell'arte alla Federico II di Napoli, ormai vicino ai 28 anni, gira l'Italia da quand'era bambino. Fu così che si innamorò della storia, della geografia, dei centri storici e dei colori - e che paese colorato è il nostro! In cerca di fortuna come un bucaniere o un artista curtense, collabora di tanto in tanto, con la fortissima, dice, rivista Racna Magazine.